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 2021  marzo 28 Domenica calendario

Intervista a Luca Ward (parla della sua autobiografia)

Il nonno paterno gettato nell’oceano dopo l’ammutinamento del suo equipaggio. L’infanzia accanto ai grandi del cinema e poi l’abisso della povertà. La tentazione dei soldi facili, la fatica dei soldi sudati. I predoni in Iraq. Le notti negli autogrill. E quella volta che fece aspettare Stanley Kubrick perché era in vacanza. In bilico tra epica e biografia, western e feuilleton, mito e realtà, il prossimo martedì arriverà nelle librerie con Sperling & Kupfer Il talento di essere nessuno (256 pagine, 17,90 euro) sorprendente racconto per capitoli della spericolatissima vita del romano Luca Ward, 60 anni, attore e celeberrima voce del doppiaggio italiano, il prossimo 21 aprile su Rai1 con l’Ulisse di Alberto Angela.
La sua è una vita da film. Ci ha mai pensato?
«La storia di mio nonno lo è. Fu il primo negli Usa a pagare allo stesso modo i lavoratori di colore e i bianchi sulle navi, rifiutandosi di tenere i neri nelle stive. Finì ammutinato a 36 anni».
A 20 anni faceva corse clandestine in moto a Roma. Paura?
«Mai. Lo facevo per incoscienza e per soldi. Alle undici di sera non c’era nessuno, nemmeno la polizia. Avevo un’Honda 400, una giapponese molto potente. Era pericoloso, ma se vincevi diventavi re per una notte».
Ha mai vinto?
«Due volte, 500.000 lire. Diedi i soldi a mia madre, che quando seppe come li avevo guadagnati si arrabbiò. Le dissi: Che faccio allora, vado a rubà?. Smisi quando morì un ragazzo. Lì capii».
Ostia, gli anni Settanta, i soldi facili. E la droga?
«Sempre lontanissima da me. Facevo pallanuoto e lo sport ti aiuta a starne fuori. E poi a quell’epoca la droga non girava nelle periferie, ma nella Roma bene. Era costosa».
E quando poi ci è entrato, nella Roma bene?
«Zero. Mai fatto niente. Non so nemmeno cosa sia una canna. Meglio una boccia di vino».
Racconta di quando faceva il camionista, portando bullonistica in acciaio a Bagdad, e fu attaccato dai banditi. Non teme l’effetto Manuel Fantoni?
«Andò davvero così. Ho imparato molto da quell’avventura e da come il mio collega ci tirò fuori dai guai. Io ero spaventato a morte: arrivarono a cavallo, con certe facce Per loro l’acciaio era come l’oro».
Quanto a lungo fece il camionista?
«Solo un anno, vedendo terre dove andavano in pochissimi. Viaggiavamo su strade che non sono strade, portandoci dietro cassoni di gasolio perché non c’era rifornimento. L’Iraq era una terra ordinatissima, l’Iran un casino fichissimo. Quando entravamo nelle città col camion targato Roma, i ragazzini ci si aggrappavano».
Poi il cinema. Suo papà, l’attore Aleardo Ward, mandò a quel paese il regista Giorgio Strehler. Stesso carattere?
«Papà detestava le ingiustizie e la cafoneria. Strehler aveva trattato malissimo e in maniera gratuita una persona, e così lui prese il cappotto e se ne andò. Punto. Io faccio lo stesso. Mi conoscono nell’ambiente, posso diventare una belva».
Che ricordi ha dei grandi del cinema?
«Fellini era un gran signore. Quando mamma (l’attrice Maria Teresa Di Carlo, ndr) rimase incinta, lui la chiamò per rassicurarla che avrebbe tenuto il suo personaggio nel Satyricon.
Io ci ho lavorato per Amarcord. Doppiava gli esterni all’aperto a Cinecittà: non lo fa nessuno. Sergio Leone disse che avevo la faccia da western».
È un doppiatore molto apprezzato anche all’estero: come andò con Stanley Kubrick?
«Feci un provino per Full Metal Jacket. Kubrick era appassionato di doppiaggio, restò tutto il tempo in sala con noi. E a ogni scena ci faceva un applauso».
Ma quando la chiamò lo fece aspettare: dov’era di cosi importante?
«In Turchia, col camper e la famiglia. A un certo punto il mio ex suocero (Claudio Razzi, ndr), che era l’unico ad avere con sé un telefono, mi disse che mi stavano cercando a Roma: Kubrick mi aspettava per finire il film. Mi presentai una settimana dopo. Lo trovai seduto in poltrona, tranquillo. Fu un’esperienza straordinaria».
Nel libro si toglie un sassolino: cos’è successo col doppiaggio di Hugh Grant?
«Quando abbiamo fatto The Undoing, la serie, il materiale arrivava strada facendo. Non sapevamo nulla. Ero convinto di fare una commedia, all’ultimo mi sono trovato di fronte un killer. Avrei ridoppiato volentieri i primi 2 episodi».
Con Alberto Angela sarà un successo?
«Speriamo, la prima puntata sarà sugli etruschi. Alberto è fantastico, se fossi una donna gli farei la corte. Sono orgoglioso di far parte della squadra e felice che la Rai, ci mandi il sabato in prima serata».
Al Teatro Sistina, con lo spettacolo Full Monty, ci torna?
«Ci auguriamo tutti in autunno. Per noi, ma anche per i tecnici che non ce la fanno più. Prometto che se torniamo sul palco, all’ultima scena mi tolgo tutto. Anche il tanga color carne. E lo sventolo. Giuro».