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 2021  marzo 28 Domenica calendario

Elogio della solitudine

Tempi di Covid. Non ne potete più della solitudine da social network e serie tv? Troverete un balsamo alle vostre pene in questa rassegna vertiginosa del modo in cui, sin dai suoi albori, la civiltà occidentale ha pensato, vissuto e rappresentato la solitudine. Aurelio Musi prende le mosse dall’Atene del V secolo avanti Cristo, con Eschilo che mette in scena il supplizio di Prometeo condannato da Zeus a rimanere incatenato a una roccia, in eterna solitudine, per aver regalato il fuoco agli uomini. Continua con l’Edipo Re e l’Antigone di Sofocle, con le Baccanti e le Troiane di Euripide, perché la solitudine è l’essenza della tragedia greca, spiega citando Nietzsche, e corrisponde al destino inappellabile dell’eroe, portandolo per volontà o per caso all’esilio, al suicidio, alla follia.
PROFONDITÀ
Segue la grandiosa solitudine dei preplatonici che con Socrate scoprono la profondità della vita interiore e il distacco dal mondo. Coi romani, un altro passo in senso positivo, e infatti per il Cicerone delle Tuscolane la solitudine dischiude la vita contemplativa e offre un rifugio dopo le delusioni pubbliche e il dolore privato, in attesa della morte liberatrice. Il vero salto, però, preparato da Ovidio, Catullo e Seneca, avviene col cristianesimo, quando il sacrificio della Croce apre la salvezza eterna al peccatore e lo fa entrare nel tempo lineare della redenzione e della storia, che è ancora il tempo nostro, dove la solitudine dell’uomo si trasfigura nell’unione divina in nome dell’amore perfetto.
Col monachesimo, poi, la fuga dal mondo, più che un ideale diventa una forma di vita concreta, contemplativa e operosa, per abitare la propria interiorità in comunione con Dio e con gli altri. E a quel punto è tutto un fiorire di pellegrini, eremiti, ribelli, mistici, e soprattutto donne, che dimesse, silenziose e obbedienti, sin dall’antichità greco romana incarnano la quintessenza della solitudine. Simbolo eloquente dell’ascesi da beata solitudine è Santa Maria Egiziaca, la bella donna procace, dedita ai piaceri della carne, che addirittura si prostituisce per imbarcarsi verso Gerusalemme, ma quando arriva di fronte alla santa Croce, d’improvviso scopre la luce e si converte, lasciando la vita dissoluta per vivere di penitenza, nuda, quarantasette anni nel deserto, cibandosi di pane.
MITO LETTERARIO
L’altro passaggio chiave avviene con Petrarca quando la solitudine di Sant’Agostino si trasfigura in mito letterario e apre le porte all’umanesimo e al rinascimento. Ecco allora il traduttore di Erasmo da Rotterdam, Ortensio Lando, discettare sulla fuga mundi come strada maestra per sfuggire la sua corruzione monda, e celebrare la santità del dotto per condannare diplomatici e militari, ecclesiastici e cardinali, come «uomini fallaci, nutritori di liti, venditori della propria lingua, fomentatori di discordie, risvegliatori di controversie». Da lì alla solitudine di Machiavelli, che la sera torna a casa, si mette «panni reali e curiali», e «rivestito condecentemente entra nella antique corti degli antiqui huomini», il passo è breve. Ma è Montaigne a raccomandare un uso moderato e ragionevole della solitudine, invitando al «saper stare con se stessi», attitudine che Blaise Pascal vedrà minacciata dalla distrazione, dalla miseria umana e dalla morte. E così, attraversando i deliri barocchi, le prodezze di don Chisciotte cavaliere errante, le fantasticherie di Rousseau, e i pensieri Leopardi che distingue tra l’uomo primitivo, che non separa individuo e società, l’uomo antico, come l’eremita cristiano, e l’uomo moderno, che si estranea nel suo isolamento, arriviamo dritto dritto alla nostra solitudine contemporanea, meno virtuosa e più consapevole di quella passata, per niente spontanea, ma ben più patologica e sofferta, in quanto sintomo e al tempo steso condizione della società di massa.