Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2021
Napoleone, un eroe anche da sconfitto
Onniscienza, onnipresenza, onnipotenza. I tre punti cardine dell’ascesa di Napoleone si fondono sulla consapevolezza della propria superiorita?, che trova la sua rivelazione e la sua conferma con la prima campagna d’Italia. La leggenda nasce e si sviluppa impetuosamente nel giro di pochi mesi. Il mito dell’eroe irrompe sulla scena europea con un impeto beethoveniano, ha il piglio di chi sconvolge i vecchi assetti e annuncia un’era di liberta?. Vi concorrono i prodigi di vittorie imprevedibili e sfolgoranti, l’aura dell’invincibilita?, il carisma magnetico, il decisionismo che dispone di uomini e cose con una disarmante naturalezza.
«Un monarca e? niente, se non e? tutto; perche? sia tutto, dev’essere dappertutto». L’uomo che sfrutta la forza della parola per infiammare i suoi soldati e? anche il primo a sfruttare sistematicamente la potenza delle immagini. Come ha scritto Madame de Stae?l, «ha sempre cercato di impadronirsi dell’immaginazione degli uomini». Nelle sue Critiques (1859), un fine interprete del proprio tempo come Charles de Re?musat conferma l’intuizione napoleonica: una volta che l’eroe e? riuscito a prendere posto nell’immaginazione degli uomini, la sua gloria puo? sfidare il tempo, le interpretazioni, le critiche, le condanne moralistiche. Inutile contestarla, battersi contro una posterita? che rimane affezionata ai propri idoli a dispetto di ogni diverso ragionamento. L’uomo superiore si e? trasformato nell’eroe delle societa? primitive, e? passato a uno stato che possiamo definire favoloso. Si crede in lui, non lo si giudica piu?. Non resta che prendere atto che la trasformazione di Bonaparte in un semidio si e? compiuta con una facilita? inattesa e irrisoria. Il fascino del mito, le ragioni del suo imporsi stanno proprio nell’andare oltre la normale dialettica tra ragione e sentimento, umano e divino, poesia e storia.
Aveva introdotto nel mondo la misura dell’eccezionalita? e dello sconvolgimento, il senso di una sfida che rimodulava attese, esigenze, speranze, potenzialita?. Aveva operato un autentico rivolgimento sociale, aprendo le carriere al merito, come amava dire. Suonava la musica dell’avvenire, e? stato scritto. Per riuscire a misurare la forza dello sconvolgimento mancavano esperienze recenti, a tal punto che bisognava rifarsi all’antichita? classica. Presto, come scrivera? Hugo nei Miserabili, persino il Bonaparte caduto sembra più? alto del Napoleone in piedi.
Il martirio inflittogli dagli inglesi si e? presto rivelato redditizio, gli ha procurato ovunque commosse simpatie. L’eco delle antiche vittorie faceva dimenticare il dispotismo; la gloria e la fama traevano profitto dalla sventura. Il morbo che Napoleone aveva inoculato nei francesi andava al di la? del rimpianto e della commozione, era un’infezione morale, qualcosa di profondo che Chateaubriand ha analizzato magistralmente: «I miracoli delle sue armi hanno stregato la giovinezza, insegnandoci ad adorare la forza bruta. Il suo inaudito successo ha lasciato alla tracotanza di ogni ambizioso la speranza di emularlo». Aveva svelato il carattere dei francesi (degli uomini), i quali «non amano affatto la liberta?; il loro unico idolo e? l’uguaglianza», il livellamento di gregge. Se la posterita? si sottomettesse con la stessa facilita? a un altro capo carismatico baciato dal successo, «se il bene e il male si riducessero a essere soltanto relativi, ogni morale scomparirebbe dalle azioni umane». Non possiamo rassegnarci a un potere che con una sola parola puo? privarci della liberta?, della casa, degli amici. Il torto di Bonaparte «e? quello di aver abituato la societa? all’obbedienza passiva, di aver risospinto l’umanita? verso il tempo della degradazione morale», di averci abituato a considerare la liberta? un’anticaglia caduta in disuso.
E tuttavia anche l’analisi critica deve misurarsi con un dato di fatto: «Il mondo appartiene a Bonaparte – e? costretto ad ammettere Chateaubriand; – cio? che il devastatore non aveva potuto finire di conquistare, viene usurpato dalla sua fama; quando era vivo il mondo gli e? sfuggito, ora che e? morto lo possiede. Lo si puo? ritrovare dappertutto. «Dopo aver subito il dispotismo della sua persona, ci tocca subire il dispotismo della sua memoria».
«Si?, volevo diventare Napoleone, per questo ho ucciso», confessa Raskolnikov. «Al mio posto, davanti a una ridicola vecchietta, un’usuraia, avrebbe fatto la stessa cosa». Ma quello che garantisce a Napoleone l’ammirazione dei posteri resta il messaggio implicito in tutta la sua sfida: chiunque, anche un figlio del popolo, puo? arrivare alle altezze imperiali con le proprie capacita?. Con l’abbattimento delle barriere sociali, sono crollati anche i limiti all’intraprendenza e al coraggio. Il merito ha sostituito vittoriosamente il diritto ereditario, che premia iniquamente anche gli incapaci. Tocca a voi, uomini di ogni ceto – dice il messaggio – continuare il lavoro contro le vecchie oligarchie, e che soltanto i loro meschini interessi e il caso hanno interrotto.
E? esattamente quello che la borghesia emergente voleva sentirsi dire, l’annuncio letto e riletto con commozione tra le righe del Memoriale. In un mondo sempre più complesso, che tende a darsi delle spiegazioni semplificate e banali, le contraddizioni e le fertili ambiguità del “caso Napoleone” rappresentano una partita aperta su cui è opportuno continuare a riflettere.