Specchio, 28 marzo 2021
Storia del delitto di Caselle
Quella sera del 3 gennaio 2014, in frigo c’era ancora qualche avanzo di Capodanno, il panettone, la crema al torrone, e chissà, magari, gli ultimi agnolotti del plin e persino le acciughe al verde. Prima di cena, nonna Emilia giocava a carte sul letto della sua camera, a piano terra della villa a Caselle Torinese. A 94 anni compiuti teneva ancora a mente parecchie carte e nei solitari quest’abilità le dava soddisfazione, un sollievo che accarezzava la speranza di non perdere lucidità.
All’improvviso, senza neanche bussare, era entrato Giorgio, quel marcantonio del marito di Dorotea, la domestica che rassettava casa. Le aveva sempre lasciato dentro un amaro di disagio e timore quell’uomo, «Lo sa cara nonnina – le chiedeva insolente ficcandole gli occhi nell’anima, quando veniva in villa per qualche lavoretto – che quando facevo il traslocatore sollevavo da solo la parte posteriore di un’auto? E adesso… adesso ho l’ernia, sennò sarei forte come prima!». «E tu che fai qua?» aveva sbottato Emilia, attonita di vedere quell’energumeno nell’intimità della sua camera, a quell’ora, da solo e per di più dopo che la figlia Maria Angela da mesi aveva cacciato di casa la colf, la sua convivente. Da ottobre l’aveva messa alla porta con l’accusa di aver rubato una collana d’oro. «Allora, che fai?». Giorgio Palmieri le si avvicinava cauto, «Non faccio niente… Non gridi… non la tocco», aveva risposto d’istinto, ma lo sguardo tradiva la menzogna appena rifilata. «Adesso ti aggiusto io», reagì la nonnina che si voltò verso la porta e mai, mai avrebbe solo pensato di essere aggredita come risposta, colpita da coltellate alla schiena e al petto. L’assassino si ritrovò il cadavere ai piedi, lo coprì con il piumone del letto: «Mi si stava spezzando il cuore – confidò giorni dopo – le diedi anche un bacio perché ero dispiaciuto di quanto avevo commesso». Certo, oggi non si esita a credergli visto che Palmieri, classe 1958, nato in Puglia in un piccolo comune del Tavoliere, quella sera aveva sterminato addirittura l’intera famiglia. E quindi la figlia Maria Angela Greggio, il genero Claudio Allione e appunto lei, Emilia Campo dell’Orto, inerme nonna che magari con le carte sperava di scavallare il secolo e diventare centenaria.
Una strage figlia in apparenza della banalità del male, con il movente apparente di una rapina degenerata, con quel pugno di banconote, 300 forse 400 euro in tutto e le tessere del bancomat delle vittime portate via. Sottostante però grava un astio profondo, un odio carsico, un desiderio di vendetta che individua come mandante istigatrice proprio l’ex colf Dorotea De Pippo, torinese del 1961, convivente di Palmieri. Una coppia, tre assassinati. Era furibonda, la De Pippo, dopo quattro anni che teneva casa pulita, lavando mutande e pulendo il wc, aveva perso il lavoro per quella dannata collana. Doveva farla pagare. Soprattutto a Maria Angela che era sempre altezzosa, la trattava male, nicchiava quando la colf chiedeva un prestito per le pressanti spese e, soprattutto, viveva in un agio immeritato.
E, infatti, il triplice omicidio, era stato motivo di agio e ristoro. De Pippo aveva voluto subito festeggiare l’avvenuta resa dei conti, in grande stile. Con uno dei quattro bancomat sottratti alle vittime aveva comprato cozze, pesce fresco e vino per «una cena costosa», che desse un senso profondo di liberazione ai neofiti assassini. Con cautela, l’omicida aveva scelto un supermercato che seppur vicino alla stazione dei carabinieri, era privo di telecamere. Giunta alla cassa era stata però tradita dalla sua insanabile avidità: pagato la spesa con il bancomat rubato, aveva estratto la propria tessera fedeltà per farsi accreditare i punti della spesa. Un errore fatale, aveva così lasciato un’impronta digitale elettronica sulla rapina, firmando il triplice omicidio e, di conseguenza, l’ergastolo che sarà definitivamente inflitto a lei e a Palmieri il 19 luglio 2017.
Gli inquirenti erano riusciti a ricomporre ogni tassello di quella discesa negli inferi. Dall’analisi dei tabulati, il cerchio si era stretto subito sulla coppia assassina dove Palmieri era l’anello debole. E così è stato sentito per primo, per ore e ore, fino alla confessione, anticipata però da una frase da lumeggiare: «Voglio innanzitutto dire – affermò - che ho fatto tutto da solo e non ci sono altre persone coinvolte in questa storia». Insomma, sembra la classica "excusatio non petita, accusatio manifesta". E infatti Palmieri racconta di aver fatto tutto da solo, di aver raggiunto la casa degli Allione per una rapina e di essersi fatto aprire la porta con la scusa di discutere un prestito di 500 euro ricevuto un anno prima. L’uomo, per prendere tempo, racconta di essersi fatto offrire un caffè per poi colpire prima il marito e poi la moglie con un tagliacarte. «Per non lasciare impronte digitali portai via con me la tazzina, il cucchiaino e la zuccheriera che avevo toccato quando la signora Greggio mi offrì il caffè». Troppo poco per farla franca. E poi, davvero, ha fatto tutto da solo?
Gli investigatori non gli credono. Non pensano che non abbia raccontato a nessuno di questo suo piano. Non ritengono credibile la provenienza dell’arma del delitto, sulla quale Palmieri cambia più versioni. Né torna l’orario degli omicidi, indicato dall’uomo, né la versione che ha dato sui beni portati via. Da parte sua, la De Pippo all’inizio è vaga. Prima sostiene che Palmieri si è allontanato dalla loro casa per dei dissapori poi, saputa della confessione e dell’arresto, cambia versione. Sì, era a conoscenza che l’uomo sarebbe andato a chiedere soldi ai suoi ex datori di lavoro, ma non l’ha accompagnato: «Mi vergognavo troppo». Apprende del triplice omicidio solo in un secondo momento: «Io conoscevo tutto della famiglia Allione - mette a verbale - sapevo dove custodivano ori, preziosi e denaro, sapevo che la signora Greggio teneva i soldi nella federa del cuscino mentre la "nonnina" li teneva nel cassetto; una volta nel solaio ebbi a trovare una scatola piena d’oro e l’ho consegnata alla signora Greggio. Ciò dimostra la mia estraneità alla commissione del triplice omicidio: se avessi concorso, avrei certamente indicato al Palmieri i luoghi dove il nucleo Allione deteneva denaro e preziosi e gli avrei così consentito di appropriarsene. Io non c’entro nulla con l’omicidio, ho sospettato del mio convivente nel momento in cui ho visto il denaro in casa la sera del 3 gennaio e tali sospetti si sono irrobustiti quando ho saputo della triplice uccisione, ovvero il 5 gennaio. Ricordo che quando ho appreso la notizia della morte degli Allione ho esclamato "Pezzo di m…, non dovevi farlo, non si fanno queste cose!"». Ma gli inquirenti rimangono perplessi. Non le credono. «Era evidente che sia l’indagato Palmieri sia De Pippo Dorotea cercavano di accreditare una separazione fattuale e cronologica delle rispettive posizioni e condotte, sia ante che post delitto». Ma i tabulati dei telefonini, la testimonianza della titolare del bar Paradise di Caselle, dove Dorotea si reca prima e dopo l’esecuzione, fanno traballare queste versioni. «Il giorno successivo al delitto, il 4 gennaio, la De Pippo arriva al bar a un orario strano, le 6.45 di mattina, sola. Era nervosa ed entrava e usciva dal bagno più volte – affermerà la testimone. La De Pippo mi ha detto che era stata male tutta la notte e che aveva vomitato». Il 7 gennaio la De Pippo si trova nel locale e, sentendo alla radio la notizia della scoperta delle tazzine da caffè della famiglia uccisa, esclama: «Bastardo, lo sapevo». «La donna si rammarica, furibonda, dell’errore nella dispersione di oggetti (compromettenti) di proprietà delle vittime a poche decine di metri dal luogo del delitto».
Arrivano poi i resoconti dei pagamenti, i prelievi con i bancomat delle vittime e, soprattutto, come accennato, la tessera raccolta punti di Bennet «sulla quale erano stati caricati i punti relativi allo scontrino. Da ulteriore accertamento effettuato mediante i terminali dell’ipermercato, la tessera risultava abbinata al cliente registrato con il nominativo di De Pippo Dora». Il cerchio e le manette si chiudono. A questo punto, il 24 gennaio 2014, Palmieri rende piena e riscontrata confessione, puntando l’indice contro la convivente: «Dorotea mi ha istigato a fare gli omicidi perché ce l’aveva con gli Allione. Il progetto iniziale con Dorotea era quello di uccidere gli Allione per poi rubare, mentre io avevo intenzione di legarli e poi rubare. Gli omicidi li ho commessi con un coltello a serramanico, portato da casa, lungo più di 30 centimetri. Già il giorno 30 volevano fare la stessa cosa ma non l’abbiamo fatta perché non c’era la Greggio. Dorotea voleva che venisse uccisa anche la Greggio perché la maltrattava. Dorotea per istigarmi mi disse "Ci vogliono le palle per fare certe cose" e io ho preso il coltello per farla contenta. Nelle fasi degli omicidi Dorotea non ha partecipato attivamente, è scappata qualche istante prima, sapendo quello che stavo facendo. Dorotea non mi ha neanche dato soldi dopo averli prelevati. Nei giorni successivi ho effettivamente vagabondato giorno e notte per Caselle e Torino: provavo molto rancore nei confronti di Dorotea che mi aveva messo in questa condizione e mi aveva rovinato la vita».