Il Sole 24 Ore, 28 marzo 2021
Germania, il manifesto dei Verdi. Intervista a Melanie Haas
Tra le poche certezze che l’assetto politico della Germania offre in questi mesi di pandemia nuovamente fuori controllo, leadership di Angela Merkel agli ultimi giorni e drammatica crisi dei consensi della Cdu, un punto relativamente fermo resta l’ascesa dei Verdi. Attorno a loro, dicono i sondaggi più recenti, dovrebbe ruotare la formazione del nuovo governo che nascerà dalle elezioni del 26 settembre.
Melanie Haas, capo del dipartimento politico dei Verdi, in questa intervista al Sole-24Ore spiega l’evoluzione di una forza politica nata come movimento “dal basso”, animata all’origine da una forte vena protestataria, ma ormai abituata da anni a governare, sia a livello locale che federale. Già nell’alleanza con i socialdemocratici che dal 1998 al 2005 guidò la Germania, i Verdi contribuirono in maniera decisiva alla modernizzazione e all’apertura del Paese: l’abolizione dello ius sanguinis e la prima legge organica sull’immigrazione si devono anche a loro.
La Haas guiderà da martedì alla Fondazione Feltrinelli un percorso internazionale sull’ecologismo.
I sondaggi più recenti confermano importanti scosse di assestamento nel panorama politico tedesco. Siete tornati stabilmente oltre il 20% dei consensi, a tutto svantaggio della Cdu. Segno che è cambiato il Paese oppure che è cambiata la vostra offerta politica, capace di intercettare nuovi bisogni?
È in atto nel sistema politico tedesco un profondo cambiamento perché ormai abbiamo a che fare con una società molto più diversificata e multiculturale, più articolata secondo diversi stili di vita; spesso molto attiva sui social media. Ci troviamo di fronte a un crescente pluralismo di opinioni per cui diventa sempre più difficile, per alcuni partiti, identificare determinati gruppi.
Quello del grande partito popolare, come la Cdu, è un concetto che forse si adattava meglio al 20° secolo e non più a quello del 21° secolo. In Germania si sta sviluppando un sistema a più partiti di taglia media, con consensi oscillanti tra il 15 e il 30 per cento. Una simile tendenza si stava consolidando già oltre un anno fa, prima della pandemia: un processo di normalizzazione che adesso è ripreso e si riflette nei sondaggi. Comunque al voto delle politiche mancano ancora sei mesi e negli ultimi anni abbiamo imparato che sei mesi possono essere molto lunghi. Con una Cdu sotto il 30% molte cose possono accadere…
Pensate di avere buone possibilità di tornare a governare e soprattutto vi sentite pronti? L’ecologismo e la green economy spesso sottovalutano i costi sociali legati alla transizione.
Ci stiamo impegnando in ogni modo perché i Verdi siano parte del prossimo governo. Nel nostro Manifesto elettorale abbiamo presentato un piano – 50 miliardi di investimenti ogni anno per i prossimi dieci anni – per trasformare il Paese e non crediamo di avere davanti a noi molto tempo per compiere questo cambiamento. Come partito sentiamo sempre più forte la necessità di governare: c’è bisogno dei Verdi per portare avanti la trasformazione. Arrivare a un’economia neutrale sul piano climatico è un cambiamento radicale che tocca la vita di ogni singola persona, ogni singola impresa o settore: non è una questione per pochi, per le élites, coinvolge l’intera società.
Da tempo, ormai, i Verdi non sono più un piccolo partito che si sente responsabile soprattutto per la protezione dell’ambiente. Abbiamo capito di dover gestire una responsabilità collettiva e offrire soluzioni anche alle persone che abitualmente non ci votano. Come partito dobbiamo essere vicini alle necessitò dei lavoratori e del sistema economico. Non c’è dubbio che le manifestazioni di due anni fa di Fridays For Future siano state un punto di svolta: quei temi sono diventati prioritari per la vita di molte persone.
I 50 miliardi all’anno di investimenti nei prossimi dieci anni del vostro Manifesto elettorale rappresentano una promessa realistica in un Paese dove determinati vincoli al nuovo indebitamento sono scolpiti nella Costituzione?
Per almeno due decenni ci siano concentrati sulla disciplina di bilancio, sull’austerità, preferendo trattenere le risorse invece di investire nelle infrastrutture, che da noi sono in condizioni spesso critiche. Questa carenza ventennale non si vede nei conti pubblici, ma nella vita reale, la misuriamo nei fatti, ed è un costo che rischiano di pagare le future generazioni.
Noi partiamo da questa constatazione e siccome il nostro obiettivo è quello di costruire un Paese e un’economia neutrali dal punto di vista climatico, bisogna investire in maniera importante per trasformare interi settori della nostra economia: agricoltura, industria, energia, trasporti. Ciò comporta uno sforzo considerevole ed è proprio per questo che i limiti costituzionali al nuovo indebitamento vanno in qualche modo rivisti. Un cambiamento di tale portata ha bisogno di un quadro normativo stabile e comprensibile. Credo che sarà questo il compito più importante del nuovo Governo.
Resta però il problema dei costi, economici e sociali, che finiscono sempre per essere pagati da determinate categorie. Nel vostro Manifesto prevedete meccanismi di compensazione?
In Germania abbiamo uno schema, conosciuto come “Co2 Preis” che attribuisce un costo maggiore a tutta una serie di prodotti e materiali che hanno un impatto negativo sul cambiamento climatico, come ad esempio i combustibili di origine fossile utilizzati nel trasporto o in determinati sistemi di riscaldamento per abitazioni e uffici.
Nel Manifesto proponiamo uno schema di “Co2 Preis” anche nei settori industriali ed energetici. Vogliamo inoltre che ciò che lo Stato riceve dallo schema venga restituito direttamente ai consumatori, diviso equamente in base ai livelli di reddito. Con questo, chiamiamolo “denaro dell’energia”, si creerà un riequilibrio sociale nel sistema: i lavoratori e le famiglie con redditi più bassi saranno così alleggeriti dai costi del “Co2 Preis” poiché saranno maggiormente a carico dei redditi più elevati.