Corriere della Sera, 28 marzo 2021
Parla il traduttore italiano di Amanda Gorman
Il caso è scoppiato lo scorso 25 febbraio, dopo un intervento della giornalista e attivista olandese Janice Deul sul quotidiano «de Volkskrant»: Deul se la prendeva con la scelta dell’editore Meulenhoff di affidare la traduzione del poemetto The Hill We Climb di Amanda Gorman – letto durante l’inaugurazione di Joe Biden – alla scrittrice Marieke Lucas Rijneveld. Il titolo dell’intervento era inequivocabile: «Un traduttore bianco per la poesia di Amanda Gorman: incomprensibile». In seguito alle polemiche, Marieke Lucas Rijneveld, vincitrice nel 2020 dell’International Booker Prize, ha lasciato l’incarico. Un caso simile si è ripetuto poche settimane dopo, in Spagna. Il traduttore catalano di Gorman, Victor Obiols, è stato scaricato dall’editore Univers di Barcellona perché non «adatto» al lavoro. L’editore, ha spiegato Obiols all’Afp, aveva deciso di affidare l’incarico a una donna «preferibilmente nera».
In Italia, il poemetto uscirà con la traduzione di Francesca Spinelli, giornalista di «Internazionale», che il «Corriere» ha raggiunto via email a Bruxelles, dove vive.
Che opinione si è fatta del caso traduttori nei Paesi Bassi e in Catalogna?
«Sono due casi molto diversi. Nei Paesi Bassi è stata Marieke Lucas Rijneveld a tirarsi indietro di fronte alle critiche nate in un contesto preciso, quello del mondo culturale olandese, con le sue tensioni e le richieste di dare maggiore visibilità ad artiste e artisti afro-olandesi. Nella poesia pubblicata qualche giorno dopo la vicenda, Rijneveld ha sottolineato l’autonomia della sua decisione. Molti l’hanno invece presentata come vittima passiva di un’imposizione venuta da oltreoceano. È solo una delle tante semplificazioni scaturite dalla vicenda. Nei Paesi Bassi, come nelle Fiandre e in Francia, la polemica è stata strumentalizzata dalla destra in nome della difesa dell’“integrazione”, termine in questo contesto molto insidioso».
Il caso di Victor Obiols è diverso?
«Sì. Capisco che non abbia apprezzato l’essere congedato a lavoro già completato, ma non è chiaro se il suo profilo fosse stato approvato dal team di Amanda Gorman. Può darsi che Obiols abbia pagato per un’inavvertenza dell’editore catalano. Detto ciò, la sua prima reazione – ha parlato di “inquisizione” e dichiarato che si sarebbe annerito la faccia per poter tradurre, moderando poi i toni nelle interviste successive – rivela secondo me uno degli aspetti più interessanti della vicenda, ovvero la faglia generazionale che attraversa il mondo della traduzione, e il diverso modo in cui, a seconda dell’età, sono stati definiti in queste ultime settimane concetti come la sensibilità e la legittimità del traduttore».
Come si è preparata per affrontare il testo di Amanda Gorman?
«Come prima cosa ho riascoltato più volte il suo intervento il giorno dell’insediamento. Ho letto alcune sue interviste, ho visto alcuni video per familiarizzarmi con le sue idee e con il suo modo di esprimerle. Ho letto e ascoltato le poesie inaugurali degli altri cinque autori e autrici che l’hanno preceduta. Sono testi che dialogano tra loro, illustrando un genere, la poesia d’occasione, ormai poco diffuso, tranne nei Paesi dove esiste la figura del poeta nazionale (è il caso del Belgio). Per tornare alle poesie inaugurali statunitensi, è interessante leggerle in ordine cronologico. Andrebbero a mio avviso pubblicate insieme, per consentire al lettore di confrontarle e ascoltarle dialogare».
Ha incontrato difficoltà nel rendere il testo in italiano fedele all’originale?
«Dal punto di vista del significato, The Hill We Climb non è un testo complesso. È rivolto a una nazione ed è stato scritto per essere compreso dall’insieme dei suoi cittadini. È però molto musicale e ritmato, ricco di figure stilistiche e di riferimenti letterari. La mia prima versione tentava di renderne soprattutto la musicalità, il ritmo, il fraseggio. In fase di editing, anche per rispettare le indicazioni del team di Amanda Gorman, gli editor hanno preferito una maggiore aderenza al contenuto. Sarà interessante vedere l’approccio degli altri editori stranieri».
Come valuta la sua esperienza?
«È stata una traduzione insolita sotto molti aspetti. Il team di Amanda Gorman aveva esigenze precise riguardo al profilo dei traduttori e all’approccio al testo originale. I tempi di consegna sono stati strettissimi per via dell’uscita prevista insieme alla versione originale. Quando si traduce (soprattutto poesia), bisogna lasciare al testo il tempo di riposare. In questo caso il lavoro si è svolto sotto il segno dell’adrenalina fin dall’inizio, ancor di più quando è esplosa la polemica sui traduttori. L’esperienza rimane positiva, come sempre quando si ha l’occasione di fare rinascere un testo in un’altra lingua».
Qual è il messaggio di Amanda Gorman, anche per il lettore che non segue da vicino la politica americana?
«Il testo è stato scritto in un momento molto particolare della storia degli Stati Uniti, per esortare i cittadini a ritrovare un senso di unità with purpose, che abbia uno scopo. Certo, il fatto che sia stato chiesto a lei di scriverlo ha un peso simbolico che oltrepassa ogni frontiera. E molti passaggi, sulla giustizia, la democrazia, il rapporto con la storia, sono esortazioni più universali».