la Repubblica, 28 marzo 2021
Mondiali, Qatar e diritti umani
“Qatar is my friend”, direbbe il senatore Matteo Renzi. Si è talmente amici di questo emirato che per farlo contento si sono spostati il tempo (là i Mondiali 2022 si disputeranno d’inverno) e lo spazio (qua la sua nazionale gioca una specie di Europeo fantasma, ieri con l’Azerbaigian, nello stadio di un altro simpatizzante, l’ungherese Orbán). L’Olimpiade (se si farà) sarà riservata al pubblico di casa, giapponese.
Difficile immaginare gran turismo a novembre dell’anno prossimo per vedere partite nel deserto: solo indigeni in tribuna.Anni fa mi sedetti tra loro. Ho ripescato gli appunti: «Andare allo stadio a Doha è come andarci a Pasadena: trovi parcheggio, entusiasmo e nessuna competenza. Il tifo è una cerimonia simile a quella religiosa: la folla dei fedeli canta e si muove senza interruzione. Manifesta al cielo la propria adesione incondizionata non fermandosi mai, neppure negli istanti successivi a un gol incassato». Per riempire gli stadi, come in Sudafrica regalavano ingressi all’ultimo a chi non poteva permettersi il biglietto, spingeranno i lavoratori migranti (indiani, pakistani, cingalesi) che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione.Che 6500 di loro siano morti costruendo le infrastrutture 2022 (ma dopo a che cosa serviranno?) ha svegliato le coscienze di alcuni. Norvegia e Germania hanno indossato maglie con scritte in difesa dei diritti umani.
L’Italia invece preferisce il verde rinascimento che, come noto, nel Golfo è in atto. Finiti gas e petrolio, il Qatar punta su mediazioni internazionali e intrattenimento sportivo. Sede diplomatica talebana e MotoGp. Quel che precede l’assegnazione di un evento agonistico è di per sé un grande affare. Per Giochi olimpici e Mondiali si creano comitati, lobby, posti di lavoro. Ci sono spese di rappresentanza, affitto di lussuosi locali, ingaggi per stelle del passato, artisti e persuasori occulti. Qualche bonifico a conti cifrati. Poi la manifestazione viene aggiudicata e chi l’organizza alla fine tira le somme, dichiara di averci rimesso e distrugge le cattedrali.
Un’idea migliore? Sedi fisse, quelle storiche. L’Olimpiade ad Atene, sempre (più utile all’economia greca di Varoufakis). I Mondiali: un’edizione in Inghilterra e una in Brasile, finali a Wembley e al Maracanà (per il fattore campo, vedi Brasile-Germania 1-7). Fine delle decisioni sospette e del circo itinerante. Ovviamente, impossibile. L’economia in cui viviamo non si fonda sul passaggio della merce da A a B, ma su tutto quel che accade a zig zag lungo il percorso, alla luce del sole o all’ombra del deserto.