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 2021  marzo 28 Domenica calendario

Reportage dall’imbuto di Suez

Le riconosci a malapena, al largo del porto, le oltre cento navi da carico e superpetroliere bloccate nel mar Rosso, così gigantesche che nella luce del primo mattino sembrano altrettanti isolotti. Aspettano pazientemente che navi molto più piccole liberino dalle sabbie un altro colosso d’acciaio, la Ever Given, una porta- container lunga come la Torre Eiffel e larga come un’autostrada a sei corsie, rimasta incagliata a pochi chilometri da lì. È accaduto martedì scorso, in un punto in cui il Canale di Suez si restringe come un imbuto, secondo quando riferito dalla sua compagnia di navigazione per colpa di una tempesta di vento che ha flagellato la regione.
Con l’occhio incollato a Google Maps, appena arrivati nel grande porto egiziano, con la mia guida ci dirigiamo verso la 23th July Street, che partendo da Suez corre lungo tutto il Canale fino al Mediterraneo. L’obiettivo è di raggiungere la nave che ha bloccato il mondo, finora invisibile ai media, e che secondo l’app sul cellulare è adesso a un tiro di schioppo. Troviamo però l’ingresso della strada che deve portarci verso il corridoio artificiale che collega l’Europa all’Asia chiuso da cavalli di Frisia, sovrastato da torrette d’avvistamento e preceduto da cartelli che recitano “Stop!” o “Military zone”. Gli egiziani sanno come comportarsi quando vogliono nascondere qualcosa.
Decidiamo quindi di risalire verso Nord, parallelamente al Canale, lungo l’intrico di stradine di campagna che parte dalla malconcia periferia di Suez. Finalmente, dopo avere percorso per mezz’ora sentieri con buche profonde come tombe, in lontananza vediamo stagliarsi la massa coloratissima dell’Ever Given. Ricorda una grossa balena spiaggiata, ed è immensa anche rispetto agli edifici più massicci di quest’hinterland nilotico. Ma siamo ancora troppo distanti dalla Ever Given per capire quello che le sta accadendo attorno, e cioè per seguire gli sforzi dei potenti rimorchiatori che cercano di disincagliarla e quelli delle gru che scavano sotto la sua poppa e la sua prua incastrate nella sabbia.
Risaliamo in macchina. Dopo altri venti minuti di malmessi tratturi arriviamo in un punto davvero vicino alla porta-container. Oltre alla sua sproporzionata imponenza, nella poverissima campagna in cui s’è arenata, dove il mezzo di trasporto più comune è il carretto trainato da un somaro, dove i ragazzini vanno in giro scalzi e dove le case non hanno né elettricità né acqua corrente, la nave appare soprattutto molto incongrua. I contadini che di questa stagione raccolgono canne e giunchi per fabbricarne stuoie e spargano letame sui loro poveri orticelli si curano appena di quel bastimento carico di ogni bendidio, dove i container possono racchiudere decine di migliaia di pezzi di ricambio per potenti auto ibride, di smartphone di ultima generazione o di sofisticate apparecchiature biomediche.
Per loro, la Ever Given è uno dei tanti giganti del mare che vedono navigare in queste acque verdastre a ogni ora del giorno e della notte. «Ma rispetto alle altre navi, questa ha avuto la sfortuna di trovarsi qui all’inizio della settimana, quando tirava un vento infernale», ci dirà nel pomeriggio Hamed, proprietario di un forno dove panifica deliziose focacce. «I suoi proprietari dovrebbero prendersela con il generale Al-Sisi. Infatti, sarebbe bastato allargare il nuovo Canale per evitare l’incidente, invece di vantarsi, come fece nel 2015, appena ultimato quest’ultimo tratto, del fatto che “gli egiziani facevano un regalo al mondo”. Il generale s’è invece comportato come un tirchio, nonostante i tanti miliardi di dollari che ogni anno gli entrano in tasca grazie al Canale».
Quando finalmente scendo dalla macchina, tiro fuori dalla tasca il mio iPhone e comincio a girare la prima clip per un breve video da pubblicare online che speravo di inviare nel primo pomeriggio alla redazione del giornale. Ma dopo soli nove secondi si materializzano dal nulla dieci poliziotti i quali, dopo avermi chiesto un’autorizzazione per filmare la nave che ovviamente non avevo, mi sequestrano passaporto e cellulare. Gli agenti sono così sorpresi di vedermi lì che stentano a credermi quando mi presento come giornalista. Dopo venti minuti riesco a recuperare il cellulare ma dovranno passare quattro ore prima che mi sia riconsegnato il passaporto: il tempo necessario per accertare la mia vera identità, sicuramente ridotto dal risolutivo intervento della nostra ambasciata al Cairo che un collega premuroso aveva gentilmente allertato del mio fermo.
In quelle ore, mentre i poliziotti continuavano a offrirmi da bere tè, caffè e Pepsi-Cola, ho sempre avuto sotto gli occhi l’accidentata Ever Given, con il suo stuolo di piccole imbarcazioni che le girava intorno. Anche un paio di elicotteri si sono dati il cambio per osservarla dall’alto. Io ero lì, a poche decine di metri, sul ciglio di un vicinale, seduto sulla sedia che mi era stata assegnata in attesa dei chiarimenti necessari. Ero lì ma non potevo girare nessuna clip. È stato il profumo delle focacce appena sfornate a farmi chiedere il permesso di incamminarmi fino alla baracca da dove proveniva quel meraviglioso aroma. Ho così conosciuto il fornaio Hamed, convinto che l’arenarsi della Erver Given e con lei di buona parte del commercio marittimo mondiale sia la logica conseguenza di un progressivo gigantismo navale. «Ho trascorso in questo luogo gli ultimi vent’anni della mia vita, durante i quali le dimensioni delle navi sono per lo meno triplicate », dice Hamed. «Col tempo si è scavato sempre di più il fondo del Canale per far transitare imbarcazioni sempre più grosse. Poi, però, basta una tempesta di vento per scatenare un disastro».
Andando via lancio un’ultima occhiata alla nave che secondo le notizie di giornata sta per essere liberata. Dal vivo, rispetto alle foto e ai filmati mostrati in questi giorni, stupisce l’esigua larghezza del Canale. Ma anche l’altezza che raggiungono i container incastrati uno sull’altro, come pezzi di un ciclopico Lego.