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 2021  marzo 27 Sabato calendario

Orsi e tori

Ma cosa gli è venuto in mente al nuovo segretario del Pd, Enrico Letta, persona riflessiva come poche, di dire che in primo luogo in Toscana deve essere rafforzato il collegamento fra Firenze e Pisa? Va bene che si sente assolutamente pisano, essendo nato a Pisa (il padre abruzzese è da molti anni docente di matematica alla Università della Torre pendente). La sua uscita così localistica, a pochi giorni dall’elezione a capo del Pd, ha scatenato una gran bagarre nella Regione Toscana, con rottura di alleanze nella maggioranza. Infatti, dietro la richiesta di rafforzare i collegamenti fra Pisa e Firenze, in realtà c’è una sorta di battaglia epica se debba prevalere l’aeroporto di Pisa, o se invece quello di Firenze debba avere una pista nuova per accogliere voli intercontinentali. Una storia assurda, non solo perché sia l’aeroporto di Firenze che di Pisa hanno la stessa proprietà, Aeroporti di Toscana, quotata in borsa e controllata da Corporation America dell’argentino di origine armena, Eduardo Eurnekian. Per questo, è facile immaginare che non sia una disputa fra diverse proprietà.È invece una disputa fra politici, in nome della volontà di Pisa di conservare il primato di passeggeri, alla fine della pandemia, grazie al grandissimo aeroporto di origine militare. Mentre Firenze vuole avere appunto voli diretti da tutto il mondo. L’uno e l’altro, per avere più turisti.
Una storia tipica italiana, drammaticamente, dove non vincono la razionalità e l’interesse generale, e dove la posizione di Pisa è ammantata dal fatto che la nuova pista di Firenze sarebbe contraria ai principi ecologici. Risultato: da anni si parla da Pisa del rafforzamento dei trasporti e da Firenze della nuova pista. E i due poli, con il contributo drammatico delle cosiddette autorità vigilanti che devono dare le licenze, si annullano.
Ma questa non è una novità. La novità, sfortunata per non dire spiacevole, è che agli esordi di questa sua nuova vita politica in Italia, come capo del maggior partito della sinistra, Letta abbia inforcato una tale gaffe. Speriamo che sia un unicum. Ma è bene che il presidente del consiglio Mario Draghi abbia ben chiaro, proprio da questa vicenda, quanto l’Italia sia oggi come la selva oscura in cui Dante comincia la sua Commedia divina.
Un’Italia senza lucidità che infatti si sorprende, come un miracolo, nello scoprire il pragmatismo di Draghi. Nel guardare, fra meraviglia e sorpresa, che Draghi parla poco ma molto chiaro. Senza l’enfasi dell’arringa, ma con parole che da sole pesano e dovrebbero penetrare in profondità, parole che dovrebbero far capire a tutti, nel settimo centenario di Dante, che si è alla vigilia di una grande rivoluzione, anzi siamo immersi nel pieno di una grande rivoluzione, indotta principalmente dall’innovazione tecnologica, che genera un’evoluzione geopolitica, la quale per certi versi riporta all’epoca dei due imperi, quello d’Occidente e quello d’Oriente. Ma allora, nell’impero d’Occidente tutto girava intorno a Roma e quello d’Oriente girava intorno a Pechino. Oggi l’Occidente è Washington, mentre l’Oriente è ancora Pechino. Con ognuno due appendici: l’Europa per Washington e la Russia per Pechino.
Si pensi al significato della partecipazione del presidente americano Joe Biden al Consiglio d’Europa o all’intensificarsi delle relazioni fra Mosca e Pechino. Una nuova radicalizzazione degli schieramenti, con la fuoriuscita di linguaggi anche violenti, che certo possono appartenere al difficile equilibrio in cui si trova oggi Biden quando chiama Vladimir Putin assassino, un linguaggio che neppure Donald Trump aveva mai usato. Un linguaggio che rivela le sostanziali difficoltà degli Usa nel recuperare un ruolo di guida vera, per superiorità non solo di armamenti e di forza economica, ma anche di visione politica e di umanità. E in Italia il segretario del partito della sinistra, storicamente rappresentante di ideali progressisti, si va a invischiare in una diatriba locale, anche se di due città storiche. C’è da augurare al serio, preparato e moderato Letta, che sicuramente ha ereditato alcune qualità dello zio Gianni, ma non tutte, di non cadere più in una sorta di coda lunga del famoso «Enrico stai sereno», perché il maggior sostenitore della nuova pista di Firenze è il senatore di Scandicci, Matteo Renzi. La guerra fra guelfi e ghibellini finì con la vittoria dei guelfi ma poi si passò alla disputa, per il governo di Firenze, fra componenti di parte Bianca e di parte Nera. Dante era di parte Bianca e fu costretto all’esilio.
Qui oggi servono, per uscire dalla pandemia, pragmatismo e unità, anche fra chi è avversario politico. Ci dovrebbe essere un solo obbiettivo unitario: sconfiggere il virus. E con esso sconfiggere inefficienza, pressappochismo, acrimonia. In fin dei conti l’Italia è risorta dopo la guerra perché nonostante le divisioni politiche, anche asperrime, è stata possibile l’elezione di una Assemblea costituente che comunque approvò una buona Costituzione.
I morti da Covid sono simili, per numero, a quelli di un anno di guerra. Occorre ritrovare un vero spirito di solidarietà e rispetto. Anche in guerra c’era il mercato nero del cibo, come ora abbiamo assistito a una sorta di mercato nero delle vaccinazioni, mascherato da categorie a rischio ma non solo per scelte assurde di incompetenti da una parte, e dall’altra dei soliti profittatori che anche in una vicenda come quella del Covid non sanno avere rispetto degli altri ma vivono solo di egoismo e presunta furbizia. Un male che è come un secondo virus. Niente di nuovo e di meglio, mentre appunto il mondo è in una rivoluzione geopolitica che dovrebbe preoccupare molto, per i figli e i nipoti, anche gli egoisti e coloro che pensano di essere furbi.
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Il primo fatto a cui guardare per capire che cosa sta succedendo sullo scacchiere mondiale è l’imitazione da parte di Putin del presidente della Cina, Xi Jinping. La riforma della Costituzione cinese, approvata ai tempi di Deng Xiaoping, fondatore della Nuova Cina, è avvenuta tre anni fa, quando anche il presidente Xi ha deciso di immettere il suo pensiero nella carta fondamentale del Paese, così come avevano fatto prima di lui il presidente Mao Zedong e il vicepresidente Deng. Nel pensiero di Xi ci sono concetti molto interessanti che è possibile cogliere dalla comparazione fra il vecchio e il nuovo testo fatta da Class Editori in occasione della visita del capo supremo della Cina a Roma. Un documento che nei prossimi giorni sarà possibile leggere in italiano sul sito ClassAgorà.it, perché in occasione della visita a Roma Class Editori stampò la Costituzione italiana tradotta in cinese e quella cinese tradotta in Italia. E i due volumi furono donati ai presidenti delle due Repubbliche.
Ovviamente, il pensiero introdotto dal presidente Xi è stato analizzato in tutto il mondo al microscopio, ma fra tutte le modifiche una ha finito per essere quella citata da tutti: l’abolizione della norma per cui i mandati da presidente non potevano essere più di due. Questa norma non c’è più e quindi il presidente Xi può rimanere in carica per lungo tempo.
Deng aveva voluto usare lo schema delle democrazie occidentali, con i riti temporali per la carica. Xi, il Comitato centrale e l’Assemblea del popolo hanno pensato di non mettere un limite, che ora anche Putin si è tolto, facendo approvare la legge che gli permette ancora due mandati.
Al di là del concetto di democrazia, che passa dall’alternanza, il non porre scadenze o prorogarle di due mandati in due mandati, presenta una vantaggio competitivo molto forte sul piano della programmazione: mentre un presidente degli Stati Uniti può fare piani a quattro anni con la possibilità, ma non con la certezza, di allungarli a otto anni, in Cina, soprattutto, ma anche in Russia si fanno piani decennali ma anche trentennali. In una realtà dove la tecnologia fa mutare il mondo ogni minuto, il presidente Xi ha grande vantaggio. E l’angoscia dell’America è proprio questa, anche se, come il presidente Draghi ha raccontato nella conferenza stampa di venerdì 26, la linea di Biden è quella di competere, non di combattere, almeno con la Cina. E la competizione è durissima, perché pur con i suoi problemi di estensione del benessere anche nelle campagne, la Cina ha ormai sorpassato gli Usa nella tecnologia. Biden nell’inusuale partecipazione al Consiglio europeo ha naturalmente ribattuto sulla mancanza in Cina e Russia del rispetto dei diritti democratici e civili delle persone, che rimane un po’ anche uno slogan a fronte di quanto succede, perlomeno per i rapporti della polizia statunitense con i cittadini, con le minoranze di colore, e con i poveri che non hanno nessuna tutela medica, oppure per il rispetto dei morti, che abbiamo visto seppellire in fosse comuni se privi dei soldi per comprarsi una tomba. E del resto, parlando della Turchia, Biden non ha più di tanto stigmatizzato i comportamenti di Erdogan, ribadendo invece il ruolo strategico del Paese nell’ambito della Nato. Chi è senza colpa, scagli la prima pietra.
Naturalmente Biden tende a ricucire il più possibile con i 27 Paesi dell’Unione Europea: lo fa per l’accettazione di una tassa sugli smisurati guadagni degli Ott; lo fa sulla revisione dei dazi doganali. L’Europa fa parte integrante del Patto Atlantico e quindi, al netto delle assurdità di Trump, il presidente Biden vuole ricucire un rapporto stretto con l’Europa. E l’Europa cosa fa?
Draghi di ritorno dal Consiglio d’Europa ha offerto agli italiani e al resto del mondo una fotografia implacabile della situazione in cui si trova il Vecchio continente, a parte la pandemia. Una fotografia allo stesso tempo economica e politica, ma che discende dal coté economico. Gli Eurobond, ha detto, non esistono per alcuni semplici motivi: 1) perché l’Europa è una unione di Stati e non uno Stato federale come gli Usa, con un bilancio oltre che degli Stati membri dello Stato federale; 2) la Ue non ha neppure un sistema fiscale uniformato; 3) soltanto l’euro, e di conseguenza la Bce, due fatti certo importanti, uniscono i popoli della Ue, ma non basta; 4) in seguito alla pandemia la Commissione europea ha emesso un suo debito per il Next generation fund, anche questo è un fatto positivo, ma certo il bilancio attuale non può reggere emissioni di euro Eurobond come Buoni del Tesoro americani, anche perché molti Paesi non li vogliono e mettono il veto.
«Prima di arrivare agli Eurobond e a un vero bilancio della Ue ci vorrà molto impegno politico e probabilmente passeranno molte generazioni», ha spiegato Draghi. In altre parole neppure l’euro può essere considerato moneta di riserva. La creazione dell’euro digitale, sostiene Draghi, è importante ma non cambia la realtà che l’euro non può competere con il dollaro. Il valore del dollaro nasce in primo luogo dal fatto che ha sempre mercato, come hanno sempre e dovunque mercato i titoli quotati nelle borse americane. L’euro non può avere una funzione anticiclica. E il punto più difficile, ma cruciale, è realizzare un’unione fiscale. Non basta che alcuni Paesi dell’Unione siano d’accordo per l’unione fiscale e per gli Eurobond, bisogna che siano tutti d’accordo. Queste scelte occorre farle tutti insieme. Ciò che fa la Commissione è importante, ma è una via di mezzo. «Lo dico da tanti anni che senza scelte importanti condivise da tutti gli Stati l’Europa non può essere un’alternativa o competitiva con Stati Uniti, Cina e anche con la Russia», sostiene Draghi.
Per questo, è il succo del progetto Draghi, bisogna fare insieme quello che si può fare, ma bisogna in primo luogo avere una strategia come Paese. E in questa direzione Draghi riconferma il concetto fondamentale che lanciò nel famoso articolo sul Financial Times: non bisogna lesinare l’aiuto alle famiglie e alle imprese, ma contemporaneamente occorre creare stimoli agli investimenti, perché solo gli investimenti possono creare posti di lavoro e quindi crescita. E i posti di lavoro si creano anche con investimenti in settori non necessariamente generatori delle classiche fabbriche. Gli investimenti nella sostenibilità sono ugualmente produttivi e creatori di posti di lavoro. Occorre attuare il vecchio che va bene e aprire il nuovo. Con la semplificazione e la giustizia: agli investitori deve essere assicurata certezza e rapidità del diritto...
A parte qualche impaccio nel mettere e togliere la mascherina per rispondere nelle conferenze stampa e la richiesta di avere davanti per la risposta chi gli ha fatto la domanda, coloro che hanno titolato «A forza di accelerare, Draghi si è ingrippato», non hanno minimamente compreso che Draghi è un fuoriclasse. Per fortuna che è a capo del governo italiano e con l’uscita dall’agone di Angela Merkel, sarà il vero leader non solo dell’Italia ma dell’Europa. È l’unico che potrà tagliare i tempi, che lui stesso ha indicato lunghissimi, per l’unione fiscale e la trasformazione dell’euro in una moneta vera di riserva. Quindi l’unico che potrà far fare decisivi passi avanti per un’Europa realmente autonoma, anche se alleata degli Stati Uniti.
Certo, non si occupa di piste di aeroporti... (riproduzione riservata)