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 2021  marzo 27 Sabato calendario

(auto)Ritratto di Evelyn Waugh

Il corposo albero genealogico costituito dagli antenati Waugh (paterni) e Raban (materni) di Evelyn Waugh, nutrito di ecclesiastici, avvocati, militari, medici, funzionari imperiali, letterati, Lanceri del Bengala (strepitosi quando in alta uniforme), nonne cresciute nell’indolenza dell’India britannica e nonne in perpetuo timore per la fine del mondo e l’inferno, madri attive negli ospedali di guerra e le immancabili zitelle, fa da incipit al primo e unico volume della autobiografia – inedita in Italia – di Evelyn Waugh: Autobiografia di un perdigiorno (Bompiani), curata e tradotta da Mario Fortunato (benemerito nel riproporre uno ad uno i libri di uno dei maggiori scrittori del Novecento), e, nel medesimo tempo, con le sue canoniche e le sue abbazie, Oxford e Cambridge, gli smisurati palazzi di campagna e Londra, dipinge almeno un paio di secoli d’Inghilterra.
Evelyn nasce nel tardo autunno del 1903, da Arthur Waugh e Catherine Charlotte Raban, a North End: il villaggio di Hampstead alla periferia di Londra dove, nelle sere d’estate, i londinesi andavano a prendere il fresco e a bere la birra nel cortile con i rampicanti di rose della taverna The Bull and Bush, il telefono non esisteva, a Pasqua c’era la Fiera, si andava molto in chiesa, e i canti dei Vespri, anche per un bambino, era un vero piacere ascoltarli. La casa di famiglia – diversa da quella vicina delle tre zie zitelle: Connie, Elsie e Trissie, ingombra di vetrinette custodi di oggetti meravigliosi – quali un bastone da passeggio col quale un antenato aveva scalato il Vesuvio, per esempio, o una ciocca di capelli (finti) del poeta Wordsworth – era una tipica casa di quell’epoca, senza pretese.
Catherine Raban Waugh, piccola, carina, generosa, di preraffaellita, modello femminile allora molto diffuso, aveva poco o nulla. Arthur Waugh, non alto, bello, con due grandi occhi chiari, sofferente d’asma, «incorreggibile vittoriano» iscritto al Savile club di Piccadilly (dal quale aveva assistito ai funerali di Edoardo VII e alla incoronazione di Giorgio V), tory in politica però non-votante, era un uomo mite totalmente privo di ambizioni. Anglicano praticante, niente affatto spaventato dalla morte (trovava gran conforto a visitare il luogo preciso del cimitero di Hampstead nel quale sarebbe stato sepolto), ogni mattina leggeva le preghiere alla famiglia riunita col bel tono che gli veniva dalla sua passione per il teatro (ma questo fino al 1914, quando smise perché «non ne veniva più niente di buono»). La sera, invece, di nuovo alla famiglia riunita e sempre con quel bel tono di voce (alla Sir John Gielgud), leggeva i grandi testi della letteratura inglese: Dickens, Tennyson, Trollope, e tanti altri. Era infatti un letterato, categoria di una volta: critico, saggista, recensore, consulente editoriale, finalmente direttore generale della casa editrice Chapman & Hall, con gli uffici al Covent Garden e retro su Maiden Lane, la strada di «Rules» (il lussuoso ristorante da dopo-Opera dove tuttora vale la buona abitudine di poter ordinare un discreto claret in caraffa). Come gusti, Arthur era antiquato: T.S. Eliot e il suo gruppo erano tipi «manifestamente assurdi»; di D.H. Lawrence, la cui immaginazione sosteneva fosse addormentata «in un fetido ricettacolo di stati d’animo», diceva che avrebbe avuto bisogno di un bel bagno rinfrescante.
Il 1910 segna l’ingresso di Evelyn nella scuola: prima nel vecchio istituto di Heath Mount a Hampstead per le primarie, poi al college anglicano di Lancing per le secondarie, a due passi dal mare. Ambienti gelidi, frustate, insegnanti nella maggioranza non sposati e per metà preti, cibo pessimo, un bagno caldo alla settimana, regole di comportamento tassative (per dire: uno studente del secondo anno poteva prendere a braccetto uno del primo, ma non viceversa), ferocia, dispetti, tutor cattivissimi, presidi rimbecilliti con figlie da sposare: chi volesse approfondire l’argomento «scuola», e divertirsi immensamente, può anche leggere il primo romanzo di Waugh: Decline and fall, Lady Margot nella traduzione italiana, con il sublime capitolo delle gare sportive su tutto. Intanto, era scoppiata la Prima guerra mondiale: anni foschi per la metà del mondo. Alec, il fratello maggiore di Evelyn, era nelle trincee. E la domenica sera i turbolenti ragazzi con le giacche scure, la cravatta slacciata e la camicia sempre fuori dai pantaloni, ammutolivano in refettorio quando il rettore leggeva i nomi degli ex allievi uccisi durante la settimana.
Epoche
Le zie zitelle, il padre vittoriano, Oxford, il Club: narrandosi, l’autore svela anche il suo Paese
Se il livello dell’istruzione scolastica era abbastanza modesto, «del genere che permette di risolvere i cruciverba del Times», con parecchia Storia inglese, non tanto diverso sembrò a Evelyn quello universitario quando approdò a Oxford. E pure le regole erano le stesse: toga e abito scuro per la cena, preghiera prima di cena, tutor sprezzanti, niente telefono, punizioni, ragazze (meno il giorno della regata) in clausura, ragazzi «con fidanzata» rarissimi, bigliettini consegnati tramite bicicletta. Ma Oxford, dalla gran parte dei suoi ospiti, era soprattutto considerato come il luogo in cui vivere e divertirsi, bere fino a ubriacarsi, dare piccoli ricevimenti spesso finiti in vere e proprie orge, intrecciare «pericolose» amicizie. Evelyn, che da ragazzino pensava di fare il parroco, poi fu anglicano, poi agnostico, poi di nuovo anglicano (prima di convertirsi definitivamente, nel 1930, al cattolicesimo) ci si buttò a capofitto e con notevole entusiasmo.
Esistevano vari Club: tra i quali L’Hypocrites, il Railway, il New Reform in cui si riunivano i liberali. Essendo conservatore («benché incapace di definire la politica del partito in alcun campo»), Evelyn si iscrisse al Carlton. L’Unione studentesca, invece, era aperta a tutti: quindi più cosmopolita. Tuttavia, gli studenti di colore erano pochissimi, mentre abbondavano gli asiatici, chiamati non di rado neri. Non c’era nessuna ostilità nei loro confronti: «Ci pareva stravagante imputare di cannibalismo questi onesti vegetariani. Ma forse li offendevamo lo stesso». In Ritorno a Brideshead, senza discussioni il capolavoro di Evelyn Waugh, le sregolatezze degli studenti (che ogni tanto fuggivano a Londra per qualche ballo), vengono paragonate alla lavorazione del Porto: «Era come lo spirito che si mescola all’uva pura del Douro, roba inebriante, piena di oscuri ingredienti; arricchiva e ritardava al tempo stesso l’intero processo dell’adolescenza come lo spirito arresta la fermentazione del vino rendendolo imbevibile, tanto che deve restare al buio per anni e anni prima di essere finalmente pronto per portarlo in tavola».
Ma Graham Greene, già parecchio riservato, studiava al Balliol nel frattempo, nelle biblioteche e per i prati si incontrava il giovane Anthony Powell, oppure il futuro giramondo Robert Byron (basso, somigliante in modo impressionante alla regina Vittoria, tanto da mascherarsi da regina nelle feste che furono date in occasione del suo giubileo), poi autore di un bellissimo libro: La via per l’Oxiana, futuri uomini politici, futuri uomini di scienza. Al Railway, con la «sua inimitabile cattiveria e la tendenza a scandalizzare» dominava Harold Acton. Fu l’amico di tutta la vita. Dopo i cinquant’anni, lui e Evelyn fecero un viaggio in Italia e si fermarono a Parma. Raccontava, Attilio Bertolucci, nella sua casa di Monteverde vecchio, che Acton dormiva fino a tardi, mentre Evelyn si svegliava presto; tutte le mattine andava a messa, e dopo faceva la prima colazione in un bar all’aperto innaffiandola con una bottiglia di Sangiovese. Gli chiesi chi dei due era vestito meglio. Mi rispose: «Acton».