Corriere della Sera, 27 marzo 2021
Glu Usa non danno una mano all’Ue
L’apertura di Joe Biden all’Unione europea non vale per l’oggi. Il presidente americano ha assicurato «collaborazione sull’approvvigionamento dei vaccini», intervenendo giovedì 25 marzo al Consiglio europeo. Parole che hanno suscitato grandi aspettative e qualche fuga in avanti. Subito dopo il vertice, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha dichiarato ai giornalisti: «Usa e Ue condividono il forte interesse a lavorare insieme per permettere alle catene di approvvigionamento di funzionare, in modo da prepararci alla sfide future». Che cosa significa nel concreto? Finora Biden ha applicato alla lettera il suo piano: prima vacciniamo tutti gli americani, poi condivideremo il «surplus» di dosi con altri Paesi.
Ieri mattina abbiamo fatto una nuova verifica con la Casa Bianca. Ecco la nostra domanda: «L’intervento di Biden al Consiglio europeo ha cambiato qualcosa? Dobbiamo pensare che il presidente autorizzerà l’invio di vaccini in Europa prima del previsto, cioè prima che siano stati vaccinati tutti gli americani?». La risposta che abbiamo ricevuto dall’Ufficio della Press Secretary, Jen Psaki, è netta: «No». Non cambia niente. Segue un rimando alle spiegazioni fornite nei giorni scorsi dalla stessa Psaki. In sintesi: «Ci sono ancora troppe incognite»; il governo federale «resta concentrato» sull’emergenza negli Usa. La questione di come gestire il «surplus» verrà affrontata più avanti.
Il New York Times scrive come, in realtà, Biden abbia ancora poche settimane per decidere. Gli impianti di Pfizer, Moderna e Johnson&Johnson dovrebbero fornire fiale sufficienti per immunizzare tutti i 280 milioni di adulti entro la fine di maggio. Stando alle previsioni, le scorte cresceranno fino a poter proteggere 400 milioni di persone entro la fine di luglio: 70 milioni in più rispetto alla popolazione del Paese. E così via, a salire. Entro l’anno Washington potrebbe disporre di circa 1 miliardo di dosi.
Il problema è che in Europa e altrove l’urgenza è adesso. Le dosi servirebbero subito, magari per la fine di maggio. È un’aspettativa realistica? Negli Stati Uniti si confrontano due scuole di pensiero. Il virologo Anthony Fauci, il Segretario di Stato Antony Blinken e diversi parlamentari democratici sono favorevoli a condividere a breve il «surplus» dei vaccini con «le nazioni che hanno bisogno». Dall’altra parte alcuni consiglieri della Casa Bianca raccomandano prudenza: diversi governatori e molti sindaci, per esempio la democratica Muriel Bowser di Washington, stanno ancora aspettando la manna promessa. «Non siamo seduti su una montagna di dosi nascoste», riassume ancora Jen Psaki.
Ecco perché Biden resta cauto. La «collaborazione» con la Ue potrebbe concretizzarsi, innanzitutto, con un maggior numero di accordi per la produzione del siero tra le multinazionali americane e alcune aziende europee.
Poi ci sono le dosi inutilizzate del vaccino AstraZeneca. Circa 30 milioni sono stoccate in uno stabilimento di West Chester, in Ohio; un’altra quantità ingente, ma non quantificabile perché non ancora infialata, aspetta nei frigoriferi della Emergent BioSolutions, nel Maryland.
AstraZeneca non ha ancora ottenuto il via libera dalla Food and Drug Administration. Tuttavia non può esportare il suo prodotto senza l’autorizzazione della Casa Bianca. Biden ha già fatto un’eccezione con il Messico e con il Canada, «prestando» loro complessivamente quattro milioni di dosi. Ora, si dice a Washington, potrebbe fare qualcosa del genere per gli europei. Anche se la concorrenza cresce con il passare dei giorni. Lo stesso Messico ne chiede di più, mettendo sull’altro piatto un maggior impegno per contenere i flussi di migranti. Si è fatto avanti anche il Brasile. Un’altra opzione è donare dosi a «Covax», il consorzio internazionale impegnato nel contrasto alla pandemia negli Stati più poveri, quelli che finora non hanno visto neanche una fiala.