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 2021  marzo 27 Sabato calendario

A Suez ora c’è il rischio dei pirati

Quarto giorno. Ruspe, bulldozer, rimorchiatori, da ieri anche una super-draga. Tutti insieme lavorano giorno e notte. Senza tuttavia ottenere risultati apprezzabili. Il colosso è ancora lì, immobile, alto come un palazzo di 15 piani, incastrato di traverso nella parte meridionale del Canale di Suez. Con l’immensa prua che tocca il lato orientale e la poppa quello occidentale. Si cerca di smuovere la super porta container Ever Given, 200mila tonnellate di peso, 400 metri di lunghezza, 59 di larghezza. Si cerca almeno di creare uno spazio per far transitare le navi più piccole. Ma il colosso non si muove. 
Non più ore. Ma probabilmente ancora giorni. E nel peggior scenario, che tuttavia diviene meno remoto col passare del tempo, anche settimane.  Per disincagliare e rimettere a galla con i rimorchiatori si parla di non meno di una settimana. Se la super draga riuscisse invece a togliere terra a sufficienza la Ever Given potrebbe iniziare a muoversi anche domani. Ma di quanto? Gli Stati Uniti, ha detto ieri la Casa Bianca, hanno offerto assistenza all’Egitto. L’ultima soluzione resta alleggerire il carico di questa nave lunga quattro campi da calcio. Migliaia di container per un valore complessivo di oltre un miliardo di dollari.
Nel mentre sempre più navi, ormai quasi 300, tra cui oltre 30 petroliere, sono ancorate nelle acque ai due estremi e lungo lo stretto. Ogni giorno si ammassano merci per un valore complessivo di quasi dieci miliardi di dollari, di cui oltre cinque miliardi nella direzione est-ovest. 
Con il passare dei giorni i problemi si sommano ad altri problemi. E uno di questi è davvero serio: la minaccia di atti di pirateria o di terrorismo contro le navi inermi, ancorate in attesa di transitare. Preoccupate, molte compagnie di navigazione hanno contattato l’esercito americano. 
D’altronde, per arrivare a Suez bisogna prima attraversare Bab el-Mendeb (la porta delle Lacrime) lo stretto tra il Mar Rosso ed il Golfo di Aden. E quel tratto dell’Oceano che si affaccia a est sullo Yemen e a ovest sulla Somalia è stato teatro per anni di continui attacchi di pirateria. Predoni spietati che non hanno esitato a sequestrare grandi petroliere con i loro equipaggi (anche navi italiane). Buona parte della costa orientale africana, almeno fino al Mozambico meridionale, è conosciuta per essere area di pirati. Ma negli ultimi anni è stato registrato un sensibile aumento dei crimini marittimi, inclusi rapimenti di equipaggi, anche sulla costa africana occidentale, in particolar modo nel Golfo di Guinea. 
Ma attendere così tanto non si può. Nonostante i problemi legati alla sicurezza, ormai diverse compagnie stanno seriamente considerando di dirottare le navi facendo doppiare il Capo di Buona Speranza. Un tratto esposto, molto più lungo (ci vogliono dai 7 ai 10 giorni di navigazione in più) e con un maggior esborso per il carburante. Il costo medio ulteriore per una nave che deve compiere questa rotta è di almeno 400 mila dollari. 
La compagnia Hyundai Merchant Marine, ha scritto ieri il Financial Times, ha modificato piani e già dato istruzioni alla Hyundai Prestige, la sua nave che dovrebbe partire da Southampton, nel Regno Unito, per arrivare a Laem Chabang, in Thailandia, di doppiare il canale di Buona Speranza, circumnavigando quindi tutta l’Africa. I broker marittimi di Singapore e Tokyo hanno riferito che decisioni simili, per modificare le rotte, sono imminenti e riguarderebbero non solo portacontainer ma anche un certo numero di petroliere.
Oggi è ancora difficile prevedere l’entità del danno provocato dall’incidente. Certo è che il blocco dello stretto si aggiunge a una serie di interruzioni nella catena di fornitura che da inizio anno hanno comportato oltre 200miliardi di costi per il commercio mondiale, ha riferito Allianz Se. 
Se il traffico tornerà fluido e regolare nelle prossime ore – ipotesi remota – è possibile che l’impatto su prezzi e tariffe sia contenuto. Ma ormai già si parla di fiammate dell’inflazione. I ricchi Paesi del Golfo, che importano quasi tutto il cibo, e i poveri Paesi del Corno d’Africa, dipendenti dagli aiuti di derrate alimentari, sono particolarmente vulnerabili alle interruzioni delle forniture di cereali. E dal Canale di Suez, sottolinea Chatham House, transita il 15% del grano e del riso commerciato nel mondo.
Insomma è iniziata una serie di danni a cascata. Che hanno già provocato ritardi e disservizi. Con porti europei bloccati, consegne in ritardo, e i porti cinesi stracolmi di merci che attendono quei portacontainer altri come palazzi per riempirli di merci.