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 2021  marzo 26 Venerdì calendario

Tutte le nomine di De Magistris in 10 anni

«Su ciò di cui non si può amministrare, si deve nominare». Che sia questa, parafrasando il filosofo, la logica di de Magistris? Dodici rimpasti di giunta, 37 assessori dimissionati, sostituiti o andati via sbattendo la porta; quattro vicesindaci che, costretti o rassegnati, hanno abbandonato la poltrona; deleghe accorpate e disgiunte a seconda del vento, e uffici fatti e disfatti. Altro che Virginia Raggi. Inceneriti tutti i record nazionali, a Napoli si è badato anche ai dettagli.
Sono settanta gli staffisti presi e lasciati, alcuni anche in malo modo; una decina i dirigenti comunali sostituiti per incompatibilità varie; e una cinquantina i manager nelle società partecipate che hanno fatto la stessa fine, senza contare quelli che stanno per prendere il posto degli amministratori unici: ora, a pochi mesi dalle prossime elezioni. Tutto questo in una città che ha in bilancio un rosso di oltre due miliardi e mezzo, in cui si riescono a riscuotere appena 16 multe su cento, con un porto in crisi e quasi tutti i grandi progetti bloccati, a partire dall’ex Italsider di Bagnoli. Ridotta all’osso, la contabilità «condominiale» di dieci anni di amministrazione de Magistris è questa. E sicuramente è approssimata per difetto.
L’eccesso è nel parossismo che governa le scelte del sindaco, ineleggibile dopo due mandati, ormai da tempo senza una maggioranza autosufficiente, e perciò così occupato a spostare pedine. Disconosciuto anche dal Pd con cui ha a lungo flirtato, de Magistris è ora già con un piede in Calabria, dove è in corsa per le regionali. Un parossismo, il suo, che è stato notato perfino nelle cose che lo circondano, ad esempio la scrivania che lo accoglie nello studio al secondo piano di Palazzo San Giacomo. Da questa scrivania il sindaco fa le sue dirette televisive, da qui lancia i suoi messaggi di pace e di guerra; e da questa prospettiva lo vediamo tutti, il più delle volte in maglioncino girocollo e sempre con quella faccia un po’ così, con l’espressione imbronciata di chi non ha ancora fatto la rivoluzione. Cos’ha questa scrivania? «Sembra una canzone di Jovanotti», ha scritto Marco Ciriello, giovane e valente scrittore napoletano. Davanti al sindaco «c’è tutto, per non scontentare nessuno, dai corni a Maradona passando per la kefiah e il rosario di Madre Teresa, è il caos danzante di Nietzsche che, però, non genera l’inatteso, ma solo una ammuina che copre l’assenza della politica». Proprio per questo, tra i primi addii al sindaco ci fu quello di Ugo Mattei, teorico del «benecomunismo», chiamato a dirigere l’azienda dell’acqua. Tra gli ultimi, invece, quello di Eleonora de Majo, provenienza centri sociali.
Ma nell’elenco c’è anche Roberto Vecchioni, designato a guidare un forum delle culture e garbatamente liquidatosi dopo poche settimane. «Normale fisiologia amministrativa», dice il sindaco. Semmai, dieci anni di assoluta incertezza su cosa fare e dove portare la città.
De Magistris è andato forte all’inizio, quando ha cavalcato come un surfista l’onda di piena del turismo nazionale e internazionale; quando ha saputo «vendere» senza imbarazzo ogni forma di napoletanità, anche la più oleografica. Ma è entrato in affanno quando, oltre che con i turisti, ha dovuto fare i conti con i napoletani reclamanti l’ordinaria amministrazione e la qualità dei servizi. Infine, si è letteralmente spiaggiato quando l’emergenza, sparita al tempo dei rifiuti per strada e dell’indignazione generale, si è riproposta ora con la pandemia. Seducente nei tempi buoni, assente in quelli difficili.