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 2021  marzo 26 Venerdì calendario

Responsabilità e diritti di un maschio

Negli ultimi tempi è in atto un processo nei confronti dei maschi, ma imputati non se ne trovano facilmente. Sul banco degli imputati non c’è quasi nessuno, perché tutti i maschi si sottraggono alla responsabilità. Non si sentono colpevoli. È stata inventata apposta una definizione per aiutare la fuga: maschio alfa. Il maschio alfa, per i maschi, vuol dire: gli altri che non sono io. I maschi alfa in pratica sarebbero degli uomini primitivi, rari e quasi introvabili infatti, che si aggirano per le città con la clava e il petto villoso coperto da una pelliccia di animale (catturato da loro). Sono quindi facilmente riconoscibili, anche da lontano. Quelli sono gli imputati, tutti gli altri no.Infatti i maschi sono molto contenti che esista questa definizione di maschio alfa, quando la pronunciano indicano genericamente qualcuno all’orizzonte, e in ogni caso non sono loro. I maschi colti e democratici non si sentono soltanto in salvo, non si sottraggono soltanto dal banco degli imputati; ma molti si siedono al banco dei testimoni, e alcuni altri, i più sfacciati, addirittura tra gli accusatori.E quindi, se si sottraggono gli imputati, che processo è? La matematica è semplice: se questa enorme quantità di maschi democratici, progressisti e civili non hanno cambiato le cose, allora non si devono – non ci dobbiamo – sottrarre alla responsabilità. E del resto è stato dimostrato innumerevoli volte, anche negli ultimi tempi, che forse le vere insidie si nascondono proprio tra i maschi progressisti: quelli con la clava si vedono, gli altri no. E se si infilano tra accusatori e testimoni diventano imprendibili. Se si mischiano e indicano gli altri come quelli da processare, si salvano e spariscono.Quando si parla di una cultura maschilista, i maschi devono prendersi la responsabilità, non soltanto individuale, ma collettiva, della cultura vigente che vuol essere cambiata. Quindi suggerirei di accantonare l’alfa, e di metterci tutti sul banco degli imputati. Perché è troppo facile dire: io non sono così. Perché tutti sanno dire: io sono diverso. Non abbiamo detto altro da quando siamo nati. Tutti (anche i maschi alfa, anche quelli con la clava).Uno dei motivi per cui i maschi si allontanano dal banco degli imputati e si infilano nei banchi dei testimoni e degli accusatori, si affrettano a dare ragione alle accuse, a stare dalla parte delle accuse, si ritengono pronti a fiancheggiare la lotta contro i soprusi maschili, è la paura. Hanno paura di questo processo, di come viene condotto, e si affrettano a sottrarsi.Ma prendersi carico in modo collettivo dei capi di imputazione significa anche avere la capacità e il diritto di ottenere un processo democratico. Chiarita la questione della responsabilità, mettendoci sul banco degli imputati senza esitazione, forse si riesce a contribuire anche alla possibilità che questo processo sia serio, accorto. E il pericolo che non sia così c’è. Negli ultimi tempi, per ora soprattutto fuori dall’Italia, viene condotta una battaglia furiosa in nome della ragione. Vengono messe insieme questioni diverse, come racconta molto bene il bel libro di Guia Soncini: L’era della suscettibilità, pieno di esempi anche su come vengano messe insieme in modo rozzo delle battaglie diverse definite di volta in volta come Metoo, Cancel culture, politically correct – questioni molto diverse che però sono messe insieme da un elemento in comune: la furia della ragione. La convinzione di stare dalla parte della ragione (e molte volte di essere per davvero dalla parte della ragione) fa dimenticare la forma democratica dei processi, travolge tutto, coinvolge colpevoli e innocenti.Negli ultimi anni, essere dalla parte della ragione è diventata una questione del tutto sopravvalutata. Si ritiene sufficiente per usare ogni mezzo, decidere qual è il linguaggio, cambiare i connotati della creatività, e travolgere vite e lavori di esseri umani. L’aver ragione non comporta – come sta succedendo – l’abbandono delle regole del progresso. Anzi, questo si sta rivelando un vero e incredibile paradosso. Aver ragione, al contrario di quanto si pensa in questo periodo, non è sufficiente per fare quel che si vuole.Ecco: stare sul banco degli imputati non vuol dire automaticamente essere condannati. La certezza di stare dalla parte della ragione non rende i processi liberi dal vincolo del rispetto, dal diritto degli imputati di difendersi. Sul banco degli imputati, nei paesi civili, si sta con molti diritti, con il diritto alla prova della colpevolezza e dell’innocenza. Anzi, fino a un po’ di tempo fa ritenevamo piuttosto scontato che il grado di civiltà di un paese si potesse dedurre molto bene dal grado di civiltà dei suoi processi. Nei secoli, si è detto che le rivoluzioni travolgono anche gli innocenti, è una conseguenza delle lotte più importanti, non ci si può far niente. E queste frasi a volte si sentono dire anche adesso. Ma il progresso non è altro che questo: fare rivoluzioni che diminuiscano il numero degli innocenti coinvolti fino a essere pari a zero. Quello è il grado di civiltà, e non riguarda donne o uomini, ma tutti i cittadini del mondo. Quando si arriva al numero zero degli innocenti forse non si chiama più rivoluzione ma riforma. Ma il riformismo è l’altro segnale del grado di civiltà di una comunità.La campagna di eliminazione della pena di morte in tutto il mondo è stata chiamata “Hands off Cain”: Nessuno tocchi Caino. Ecco noi maschi dobbiamo prenderci la responsabilità collettiva di stare sul banco degli imputati, ma con questo peso sulle spalle, dobbiamo allo stesso tempo lottare insieme alle donne consapevoli contro la furia dell’aver ragione che travolge tutto. Il nostro compito è anche quello di vigilare sulla capacità del processo di essere razionale, equo, sensato, che non travolga tutto in nome dell’aver ragione.