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 2021  marzo 26 Venerdì calendario

Le colf e i politici

Centralità della colf nell’odierno discorso pubblico: origine, sviluppo e prospettive.
E d’accordo, non sarà sportivo, ma a suo tempo Pietro Ingrao rivelò di prendere spunto per le sue riflessioni proprio dalla vita della colf filippina; e sempre per tenerla a sinistra, nel 1992 sul Manifesto si sviluppò un dibattito addirittura sulla legittimità di avercela, una colf, fra i cui compiti rientrava quello dei «cessi da pulire» – con il che Valentino Parlato assicurò che provvedeva da solo «fin da quando aveva smesso di fare popò nel vasetto». D’altra parte era stato Craxi, anzi Ghino di Tacco a sdoganare l’abbreviazione “colf” vituperando la «pseudocultura» di quanti ancora parlavano di «servitù».
E va bene: altri tempi, altre figure, magari pure altre colf. Né sembra così sensato – ma qui siamo in piena euforia documentaria – ricordare che a destra Alessandra Mussolini glorificò su Chi la tata e la cuoca di casa, Josiee e Dalia, «le mie confidenti»; o che nelle pieghe degli scandali berlusconiani si cercò di far passare una amica del Presidente come “personale di servizio”. Pazienza.
Semmai, la fattispecie della ex colf moldava di Boldrini, già presidente della Camera, potrebbe ricordare un pochino quello della (ex?) colf della compagna di Fico, appena divenuto presidente della Camera; ma poi queste vicende di regolarizzazioni e contributi sono complicate, probabilmente a Napoli ancora di più per cui, oltre al caso di Imma, sul povero Fico fu lì lì per precipitare pure quello di Roman, ucraino, che non si capiva tanto bene se e in quali giorni svolgeva dei servizi.
Ma questo passa ormai il convento, e dunque anche quest’affaire di patronati e scatti di anzianità che finisce per affastellarsi sull’orizzonte immiserito del lifecasting all’italiana. Pronto a tener compagnia alle ricorrenti scontrinopoli, ai fidanzati che giocano in borsa, alle avventure delle scorte nei supermarket, agli alloggi di servizio mantenuti per dispetto e convenienza, alle mamme affittuarie di case popolari, ad altri fidanzati e fidanzate fatti assumere negli staff, ai portaborse oltraggiati e/o vendicativi, agli assessori che violano le regole del lockdown da loro stessi emanate, amen.
Sono tutte violazioni scoppiettanti, fuggevoli e pietose, la cui durata è di norma piuttosto breve e il cui grado di riprovazione sociale appare controverso nella sua ambiguità. Editi o inediti che siano, gli impicci retributivi e previdenziali delle colf s’inseriscono agevolmente nel flusso ininterrotto del piccolo e medio abuso edilizio, del parcheggio in seconda fila, della sigaretta gettata per terra, del curriculum arronzato, del titolo di studio accampato, dell’assenteismo per turismo e della scenata lei-non-sa-chi-sono-io ripresa da qualche telefonino all’aeroporto. E di nuovo amen.
Per quanto sia triste, scocciante e ripetitivo interpretare ogni volta tali accadimenti secondo gli automatismi di una inesorabile rotolata giù per la china, è già significativo che da tempo quasi nessuno usi più la parola “scandalo”. Forse perché la credibilità del ceto politico è già troppo bassa; forse perché non succede mai nulla di serio – neanche quando pizzicano il cognato del governatore che fa magheggi con camici sanitari e mascherine. Chi ricorda le grandi battaglie e delle aspre polemiche del passato accoglie le disavventure alzando gli occhi al cielo, certi giorni con rassegnazione, altri con sconforto. In compenso ci si diverte o ci si consola con le incredibili e spesso comiche giustificazioni che i reprobi sono costretti a fornire – e il sospetto è che sia questa la vera punizione, anche se poi si sa che anch’essa verrà presto dimenticata.
Tutto si è rimpicciolito. La città della politica si è fatta appartamento, al massimo condominio. Sullo sfondo resta il rapporto che le donne e gli uomini delle istituzioni dovrebbero avere con la verità: mai come in questo momento tornata ad essere indispensabile.