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 2021  marzo 26 Venerdì calendario

Vita di un marittimo di una porta-container

Potrebbero servire «giorni o addirittura settimane» per liberare il Canale di Suez dalla portacontainer «Ever Given» della compagnia «Evergreen». Lo ha detto l’amministratore delegato di Royal Boskalis, Peter Berdowski, la società olandese che attraverso la Smit Salvage si occupò del recupero della «Concordia» e che adesso è in prima linea, a fianco dell’armatore della nave, la giapponese Shoei Kisen, per disincagliare il giganteche fa da tappo al commercio tra Oriente e Occidente. Se il manager avesse ragione, i danni sarebbero enormi. Secondo l’agenzia Bloomberg, il valore giornaliero in transito è di 9,6 miliardi di dollari. Ogni giorno passano per il canale 50 navi e ieri erano già oltre 200 quelle ferme in coda. L’alternativa è circumnavigare l’Africa, ma in questo momento, col prezzo del petrolio spinto proprio dal blocco di Suez, è un costo aggiuntivo di milioni di dollari per ogni nave. Fra quelle in coda fin dal primo giorno dell’incidente, martedì scorso, c’è la portacontainer «Jolly Cobalto» della compagnia genovese Messina.Il comandante, Tommaso Elmetto, non sa esattamente quante volte ha percorso il Canale: ma se sono quasi 20 volte l’anno dal 1991, il traguardo delle 600 non dovrebbe essere così lontano. Cinquantatre anni, di Procida, l’isola dei marinai, Elmetto governa una portacontainer lunga 240 metri con il suo popolo di 23 persone a bordo: ieri sera guardava il cielo grigio sopra il Grande Lago Amaro, ultima tappa prima di uscire verso il Mar Rosso, in compagnia di altre 50 navi semi-nascoste nella foschia. Fermo nell’occhio del ciclone, Elmetto non pensa al prezzo del greggio, ai mercati impazziti, alle 200 navi che si accalcano nel Mar Rosso e nel Mediterraneo nell’attesa, per ora vana, che si ristabilisca il ponte commerciale tra Asia ed Europa: «Noi marittimi siamo una comunità, e spesso veniamo messi in cattiva luce. Vede, un errore come quello della «Ever Given» poteva davvero capitare a tutti. Non si possono mettere sotto accusa le persone di quell’equipaggio». Il Canale è stato allargato, tutti i lavori finiranno nel 2023, me le navi nel frattempo sono cresciute: «Le portacontainer di ultima generazione sono lunghe 400 metri, ogni “tiro” di container è due metri e mezzo sopra l’altezza dello scafo. È come mettere in acqua un palazzo di cinque o sei piani, farlo scivolare nella corrente e al contempo esporlo, come un’enorme vela, alle raffiche del vento. Un tempo il problema era più legato alle grandi petroliere, che però pativano e patiscono soprattutto la corrente, perché la superficie al vento, a confronto della portacontainer, è irrisoria».Non va fatta però l’equivalenza grandi navi, grandi rischi: «I fiumi che portano ad Anversa o Amburgo sono percorsi dalle portacontainer a 15-18 nodi con nebbia e vento... Le infrastrutture portuali sono e devono essere pensate per fare fronte anche a queste nuove situazioni». L’attesa la preoccupa? «Ma no, in ogni viaggio si parte sempre mettendo in conto una quindicina di giorni fermi alla fonda: vuoi per condizioni meteo sfavorevoli, vuoi perché il porto è congestionato, cioè è pieno e non si può entrare... abbiamo carburante per un mese e sempre il 15% dei viveri in più necessari a bordo. E se dovessero esserci problemi, le agenzie che seguono la nave possono sempre garantire i rifornimenti necessari. Fa parte della nostra vita». Una vita di lunghe attese («ma la nave è una piccola città, ognuno ha le sue mansioni, che deve svolgere indipendentemente che si viaggi o meno»), tanto orizzonte e tempeste: «A questa stagione è facile nel Canale trovare raffiche di vento e foschia: per attraversare tutta la via d’acqua ci sono tre piloti che si danno il cambio». Piloti che ora hanno ancorato la «Jolly»: «I turni di guardia sono rafforzati, e ci si prepara a un’altra notte nell’occhio silenzioso del ciclone». —