Il Sole 24 Ore, 25 marzo 2021
Acciaio a prezzi record
Rincari record e carenza di materiali. Anche per i metalli le imprese denunciano difficoltà di approvvigionamento: si fatica a comprare alluminio e alcune tipologie di acciaio sono addirittura diventate «quasi impossibili» da trovare. Problemi che non hanno precedenti, a differenza delle fiammate dei prezzi, e che stanno assumendo dimensioni tali da minacciare la ripresa economica post-Covid. «Se va avanti così tra un paio di mesi ci saranno imprese costrette a fermare l’attività», avverte Alberto Dal Poz, presidente di Federmeccanica, intervistato dal Sole 24 Ore. Un allarme che riecheggia quello lanciato dagli utilizzatori di plastica, categoria che peraltro è in parte sovrapponibile con quella dei consumatori di acciaio, ad esempio nella filiera dell’auto, che ha già chiuso impianti per la carenza di semiconduttori.
In siderurgia a mancare sono soprattutto i prodotti piani, coils e lamiere, il cui prezzo base è più che raddoppiato dall’estate scorsa arrivando intorno a 800 euro per tonnellata in Europa. «Un’impennata così rapida e intensa non si era mai verificata e la tendenza rialzista non sembra vicina a esaurirsi», commenta Emanuele Morandi, fondatore di Siderweb.com e della manifestazione fieristica Made in Steel. «ArcelorMittal, che ha un ruolo da market maker nel settore, sta già proponendo prezzi più alti per il terzo trimestre».
Oggi tuttavia, più ancora dei rincari, ad assillare le imprese è la reperibilità dei materiali. «Alcuni prodotti ormai sono quasi impossibili da trovare – denuncia Dal Poz di Federmeccanica – e in generale i tempi di consegna si sono allungati moltissimo, anche di 8 settimane rispetto agli standard. Inoltre la qualità media si è abbassata, talvolta arriva materiale inadeguato». Anche i centri servizi confermano difficoltà a riassortire il magazzino: «Alcuni grandi produttori propongono ottobre come prima data di consegna, spesso con incertezze sia sul prezzo che sui volumi», racconta Riccardo Benso, presidente di Assofermet.
Oltre all’impatto sull’automotive, denunciato anche dall’Anfia, preoccupano le ricadute sul settore degli elettrodomestici, sulla produzione di tubi e sull’industria delle macchine utensili, una delle bandiere del «made in Italy» nel mondo.
Il futuro degli approvvigionamenti è offuscato da numerose incertezze, a cominciare dai livelli di produzione dell’ex Ilva, fornitore chiave di laminati in Europa, che oggi funziona a ritmo ridotto e rischia di fermarsi di nuovo. Intanto sul mercato aleggia il timore di una nuova crisi: il fallimento di Greensill Capital sta facendo scricchiolare l’impero del magnate indiano Sanjeev Gupta, di cui fanno parte Liberty Steel (quarto gruppo siderurgico europeo) e molti impianti di alluminio, compresa la maggiore fonderia superstite del Vecchio continente, quella di Dunkerque, ceduta da Rio Tinto nel 2018.
Anche per l’alluminio ci sono già difficoltà di approvvigionamento, benché non si possa parlare di carenze: «Per ora non mi risulta di aziende rimaste senza materiale – afferma Marco Vedani, presidente di Assomet –. Ma i tempi di fornitura per molti prodotti sono diventati lunghissimi e i costi di trasporto sono più che triplicati», aggravio che in gran parte dipende dalla caos logistico dei container via mare – che ora rischia di aggravarsi con l’incidente nel Canale di Suez – e che si somma al forte rialzo delle quotazioni del metallo. Al London Metal Exchange l’alluminio si è spinto ai massimi da due anni, vicino a 2.300 dollari per tonnellata.
Ad alimentare le tensioni c’è un forte rimbalzo della domanda in tutto il mondo. E con i lockdown è calata l’offerta di rottame. «Questo significa che abbiamo bisogno di più alluminio primario, ma nella Ue oggi non ne produciamo a sufficienza – spiega Mario Conserva, presidente di Face, la Federazione europea dei consumatori di alluminio – Ci tocca quindi importare, pagando dazi che negli ultimi vent’anni in media si sono tradotti in un extra costo di 60-80 dollari per tonnellata».
Dalla Cina, principale bersaglio delle misure antidumping, oggi comunque non arrivano più grandi volumi di metallo. Il gigante asiatico, uscito dal Covid affamato di materie prime, è anzi addirittura diventato un importatore netto sia di alluminio che di acciaio. E questo pur essendo responsabile di oltre metà della produzione mondiale di entrambi. Un capovolgimento straordinario rispetto al passato, che in un periodo come quello attuale non solo accentua le tensioni sui prezzi ma contribuisce a mettere in crisi la supply chain delle imprese nel resto del mondo.
Anche in Europa, così come negli Usa, c’è stato un forte e inatteso rilancio dei consumi a partire dallo scorso autunno, che dopo la paralisi da Covid ha scatenato un affannoso ristoccaggio: le imprese, come dice Conserva, «si stanno facendo una grande bevuta dopo aver attraversato il deserto», ma con i dazi «attirare metallo è come sperare che l’acqua di un fiume scorra verso la sorgente».
Oggi le barriere commerciali sono d’intralcio, in qualche caso più ancora della crisi dei container marittimi. Quest’ultima è un grave ostacolo per per le forniture di polimeri e di alcuni prodotti in alluminio, ma per l’ acciaio – che di solito è trasportato alla rinfusa ö viaggia su gomma e rotaia – il colpevole numero uno delle carenze è proprio l’eccesso di misure protezioniste, accusa Assofermet, che ha scritto alla Commissione europea per esortarla a non prorogare oltre la scadenza dell 30 giugno il sistema delle salvaguardie, un mix di dazi e quote per Paese mirato a limitare le importazioni extra Ue di 26 prodotti siderurgici. Bruxelles sta valutando un’estensione di un anno, ma «sarebbe un errore di fronte alla situazione gravissima che stiamo vivendo», avverte Benso, presidente dell’associazione. «Dal 2018 l’Unione europea ha perso 21 milioni di tonnellate di produzione di acciaio. La salvaguardia è anacronistica e bisognerebbe sospenderla, fosse anche soltanto in via emergenziale».
Di diverso avviso Federacciai, che comunque apre all’ipotesi di attenuare le misure. «La salvaguardia non è il problema principale, se lo fosse le quote sarebbero esaurite – afferma il presidente Alessandro Banzato –. In generale pensiamo che sia opportuno mantenerla, magari ricalibrando su alcune quote o prodotti». Quanto alle carenze di acciaio, «qualche cliente fatica a reperire materiale, soprattutto prodotti piani – ammette Banzato – . Ma la richiesta da novembre-dicembre è davvero aumentata moltissimo e nessuno aveva previsto una ripresa così forte. Ora la produzione da forno elettrico è ripartita a pieno ritmo. Gli altiforni però non si riavviano schioccando le dita. E poi c’è in sospeso la questione dell’Ilva».