Avvenire, 25 marzo 2021
Lai Chi-wai scala grattacieli in carrozzina
Un terribile incidente d’auto, la vita appesa a un filo, molti sogni spezzati e la carriera sportiva in frantumi. «Oltre a vivere, mi chiedevo, cosa mi spinge? Così ho iniziato a inseguire un’idea, sapendo che c’era la possibilità di scalare montagne anche su una sedia a rotelle. In un certo senso, ho dimenticato di essere disabile, potevo ancora sognare e fare quello che mi piaceva». Parole e fatti di un cosiddetto disabile di nome Lai Chi-wai, con un segno particolare maturato los corso gennaio: essersi issato con la sua carrozzina fino a 250 metri di altezza, scalando la Nina Tower, celebre grattacielo alto 300 metri della Kowloon Peninsula di Hong Kong. Un’impresa non ultimata per poche decine di metri ma clamorosa, ordita per beneficenza. Penzolando nel vuoto attaccato a una corda con un sistema a carrucola, il 37enne alpinista, paraplegico dalla vita in giù da circa un decennio, ha compiuto una scalata a dir poco strepitosa, imbracato alla sua sedia a rotelle.
Prima del 2011, anno dell’incidente, era stato per ben quattro volte campione asiatico di arrampicata su roccia (climbing), nell’Asian Rock Climbing Championship. Ma non si è mai arreso alla nuova dimensione: aveva ripreso ad arram- picarsi compiendo altre imprese, attaccando la sua carrozzina a un innovativo sistema di carrucole. Tra le più note, la scalata del monte Lion Rock, torrione roccioso di 495 metri che sovrasta Hong Kong, sempre issandosi a forza di braccia sulla sedia a rotelle. Secondo la cultura popolare locale, si tratta della montagna simbolo della forza e della tenacia di Hong Kong. L’ultima impresa, durata circa dieci ore, lo ha reso il primo paraplegico a scalare un grattacielo così alto. Nonostante fosse abituato, prima dell’incidente, a scalare pareti delle montagne, Lai non ha nascosto l’emozione: «Ero abbastanza spaventato, perché salendo su una montagna posso aggrapparmi a rocce o piccoli buchi ma, con il vetro, tutto ciò su cui posso fare affidamento è la sola corda da cui penzolo». L’evento è riuscito a raccogliere 670mila dollari in donazioni per persone con lesioni al midollo spinale, ma ha soprattutto divulgato il forte messaggio di Lai: « Voglio dire a tutti
che una persona disabile può brillare, può allo stesso tempo portare opportunità, speranza, portare luce, non deve essere vista come debole » .
Non è stata una passeggiata di salute. Insidiato dal freddo e stordito dalle vertigini, Lai ha colpito più volte il suo casco per rimanere vigile, ma non ha mai mollato fino a 800 piedi, quando le raffiche di vento erano diventate implacabili e la sedia a rotelle iniziava a girare. Temendo per la propria sicurezza, solo a quel punto ha chiamato la salita poco prima del suo obiettivo, deluso ma felice. «Guardando in alto, posso vedere le condizioni avverse che ho dovuto affrontare e sentire la paura e l’impotenza mentre ero sospeso a mezz’aria. Ho visto quanto ero vicino al raggiungimento del mio obiettivo – ha concluso, confessando di aver superato le sue stesse aspettative su forza, resilienza e processo decisionale. – Ma non ho scuse da dare come atleta: non mi aspettavo di non essere in grado di finire, quando c’era ancora un po’ di forza nel mio corpo». Non c’è stato spazio, nelle sue parole, per le giustificazioni, ma solo per nuovi obiettivi. Lai ha il volto del campione che non si appiglia ad alibi, congiunture astrali, arbitri, pali, complotti o malesorti varie. Perché un campione, ha ricordato al mondo, trova stimoli, apre brecce dove altri vedono scuse o pareti invalicabili e affronta il proprio limite, qualunque altezza abbia.