Corriere della Sera; la Repubblica, 25 marzo 2021
I 1.600 anni di Venezia
Gian Antonio Stella per il Corriere
«Pax tibi marketing», declama Pieralvise Zorzi ritoccando ironico l’invocazione «Pax tibi, Marce, evangelista meus» («Pace a te, Marco, mio evangelista») incisa sulle pagine del Vangelo su cui posa la zampa il Leone alato, simbolo della Repubblica di Venezia. E forse lo scrittore figlio del grande Alvise non poteva scegliere incipit più felice per la Storia spregiudicata di Venezia, il libro appena uscito per Neri Pozza in cui spiega «come la Serenissima pianificò il suo mito». Usando sapientemente l’intelligenza, la creatività e la capacità di innovazione per applicare «meccanismi e trucchi del marketing molto prima che esistesse questo nome».
Basti ricordare come fu costruita la bufala della fondazione della città nel 421 d.C., bufala che permetterà oggi 25 marzo al sindaco Luigi Brugnaro, alleluja alleluja, di festeggiare in pompa magna e mascherina i «1.600 anni dalla nascita» di quella che fu una delle grandi capitali del mondo e del mondo resta la città più bella. Compleanno anticipato a Domenica In dalla Dogaressa Mara Venier.
Brindisi. E auguri a tutti gli operatori turistici che, dopo l’Aqua Granda del 12 novembre 2019 con la marea a 187 centimetri e la disastrosa pandemia ancora in corso, sognano finalmente un ritorno, magari meno invasivo, dei visitatori di un tempo. La ripresa val bene un cin-cin. Purché citando Marin Sanudo, lo straordinario diarista che per decenni annotò ogni dettaglio della vita veneziana, il sito municipale 1600.venezia.it e i cantori della festa non ricordino solo le sue parole a sostegno del 421 come si trattasse d’un dato inoppugnabile, ma pure certi dettagli sulla data contenuti nell’opera De origine del 1493.
Opera dove, specifica il medievalista e presidente dell’Istituto Veneto Gherardo Ortalli nel libro Venezia inventata in uscita per il Mulino, Sanudo elencava tra i prodigi del 25 marzo «come in quella data Dio avesse creato Adamo, ci fosse stato l’annuncio dell’Angelo a Maria, venisse concepito dalla Vergine il Cristo e, infine, “ancora in questo zorno, secondo alcuni theologi, Iesu Christo nostro redemptor fo da Hebrei nel monte Calvario crucefixo, siché è zorno molto memorabile”». Più di così! «Dunque come data per la nascita di Venezia andava benissimo», sorride lo storico, «e il Sanudo si preoccupò persino di farne la astrologica figura: tutto avvenne “in zorno di venere circha l’hora di nona ascendendo gradi 25 del segno del Cancro”. Con questi imponenti quarti di nobiltà perché rinunciarci?».
Ma vale la pena di partire dall’inizio. Da Venezia prima di Venezia (Salerno editrice), libro d’un altro storico di Ca’ Foscari autore di numerosi saggi su Venezia e Bisanzio, Giorgio Ravegnani: «Le origini di Venezia sono un capitolo oscuro della storia del Medioevo. Le fonti narrative non abbondano, poco ci ha detto finora l’archeologia e del tutto carenti sono altre testimonianze materiali utili per definire un quadro di insieme. Nell’alto Medioevo normalmente si scrive poco, essendo i tempi alquanto difficili, e quel poco che si produce è spesso confuso e altrettanto di frequente mescola con disinvoltura il vero e il fantastico». Ed ecco i richiami agli indomiti fuggiaschi dell’antica Troia, alla stagione d’oro di Aquileia, alle città romane di Iulia Concordia, Opitergium, Altinum, all’arrivo degli Unni che spinsero gli abitanti del litorale adriatico a rifugiarsi in massa a Torcello e nelle isole intorno... Miti, certezze, dubbi... Davvero la città sarebbe stata fondata nel 421 dalle genti in fuga da Attila se «il Flagello di Dio» era allora un quindicenne e avrebbe seminato il terrore nelle terre oggi venete trent’anni dopo, nel 452?
Il centro lagunare
Davvero sarebbe stato fondato nel 421 d. C. dalle genti in fuga da Attila, allora quindicenne?
In realtà, sostiene Ravegnani, «le isole in cui si sarebbe formata Venezia erano abitate già in epoca romana, anche se non siamo in grado di dire se si sia trattato di insediamenti di una certa importanza o più semplicemente di poche case isolate o al massimo di piccoli villaggi». Un ambiente lagunare difficile ma bellissimo, come dice una lettera di Cassiodoro che narra come uomini e merci si spostassero lungo i canali su barche tirate dai cavalli: «Da lontano sembra quasi che si muovano sui prati».
Di sicuro fu un processo «lentissimo», di accelerazioni e ristagni, tensioni e patti con Bisanzio, coi Longobardi (quando cresce una specie di rete di dodici isole: Grado, Bibione, Caorle, Eracliana, Equilo cioè Iesolo, Torcello, Murano, Rivoalto, Metamauco poi Malamocco, Poveglia, Chioggia minore e Chioggia maggiore), coi Franchi di Pipino... Un processo «iniziato nella seconda metà del VI secolo e protrattosi per una settantina di anni o ancora di più fino almeno al IX secolo».
Fatto sta che il primo riferimento al 421, scrive Ortalli, «porta a un manoscritto conservato in Francia, a Metz, forse di fine secolo XII». Sette secoli dopo la presunta fondazione: «Sbrigativamente dice: Anno domini currente CCCCXXI edificatio civitatis Venetiarum». Fine. Poi il silenzio. Fino a Martino da Canal, un cronista praticamente ignoto che ne Les estoires de Venise del 1275, dopo aver ricordato le razzie di Attila e la fuga delle popolazioni, sancisce: «Voglio che sappiate che la bella città che si chiama Venezia fu edificata nell’anno 421 dall’incarnazione di nostro signore Gesù Cristo». Né sarà più plausibile l’«ingenua e falsa cronachetta» (copyright di Giorgio Ravegnani) fabbricata verso il 1334, e cioè nove secoli dopo la presunta nascita di Venezia, dal medico (forse) padovano Jacopo Dondi che nella Cronica aliquorum gestorum Padue... cita un antico documento contenuto negli archivi conservati al Palazzo della Ragione che attribuirebbe la fondazione di Venezia ai padovani. I quali, «tenuto conto della moltitudine e del furore dei Goti che nell’anno di Cristo 413 col loro re Alarico vennero in Italia e lasciarono questa provincia devastata dal ferro e dal fuoco», avevano decretato di «costruire nella zona delle acque di Rivo Alto una città portuale e di rifugio che si indica come Rialto, e lo fecero avendo riunite molte isole di mare e di laguna e genti provenienti dalla provincia della Venezia, e quella città la vollero chiamare Venezia, e mandati lì tre consoli che soprintendessero per un biennio allo svolgimento dell’opera, il 25 di marzo verso il mezzogiorno ne fu gettato il primo fondamento».
Ed ecco il Chronicon Altinate: «L’anno sopradetto 421 il giorno 25 del mese di Marzo nel mezzo giorno del Lunedì Santo, a questa Illustrissima et Eccelsa Città Christiana, e maravigliosa fù dato principio ritrovandosi all’hora il Cielo in singolare dispositione...». C’è da fidarsi? Mah...
Michele Savonarola, nonno dell’incendiario predicatore Girolamo, scriverà nel 1446 nel suo Libellus d’averlo visto lui, quel decreto. Coi suoi occhi. Sfortunatamente però, spiega Gerardo Ortalli, «il 2 febbraio del 1420 con l’incendio del Palazzo della Ragione di Padova era finito in cenere anche l’archivio». Addio prove. Ammesso che esistessero. Dopodiché, per carità, sorridono bonari gli storici, la bufala «di questi tempi male non fa». Anche i miti possono esser coltivati. Purché non siano presi troppo sul serio...
Vera Mantengoli per Repubblica
Un’unica profonda e vibrante voce si alzerà nell’aria oggi a Venezia. Sarà quelle di tutte le campane che, all’unisono, inizieranno a suonare alle 16 per ricordare i 1600 anni della città. E tra chi boicotta l’anniversario dicendo che la data è una fake news e chi invece vuole spegnere le candeline per ricordare al mondo l’amore per la Serenissima, c’è una via di mezzo. È quella di chi, come lo scrittore e giornalista veneziano Alberto Toso Fei, sostiene che sia sì una leggenda, ma da ricordare come parte della storia di Venezia. Classe 1966, Toso Fei ha raccolto negli anni quelle memorie popolari che rischiavano di essere dimenticate, diventando «il cantastorie di Venezia». Ha scritto più di venti opere esordendo con Leggende veneziane e storie di fantasmi, per poi proseguire con la graphic novel Orientalia, candidata nel 2017 al Premio Strega, e Misteri di Venezia.
Alberto Toso Fei, quando appare per la prima volta la data del 25 marzo 421 d.C. come giorno di fondazione della città?
«Troviamo questa data nelle Cronache altinate del tredicesimo secolo, una delle fonti più antiche che raccoglie documenti e leggende su Venezia. Teniamo presente che siamo in un periodo di massimo splendore della Serenissima. Nel 1204 c’è la Quarta Crociata appoggiata dal Doge Enrico Dandolo che diventerà anche signore di parte dell’Impero di Bisanzio. Oltre alla conquista di Costantinopoli, non dimentichiamo la Pace di Venezia del 1177, siglata grazie alla Serenissima tra Federico Barbarossa e Papa Alessandro III. In questo contesto troviamo per la prima volta questa data che è sicuramente inventata, ma che rientra nella necessità di una grande potenza di avere un mito fondatore e quindi un certificato di nascita».
Perché la scelta di quel giorno?
«Il 25 marzo è il giorno dell’Annunciazione e quindi il giorno in cui Cristo s’incarna e si fa uomo.
Metaforicamente è il giorno in cui Venezia, città celeste, si fa materia.
Inoltre il 25 marzo 421 è un Lunedì di Pasqua, quindi c’è anche il riferimento alla Resurrezione. Per quanto riguarda l’anno: da un lato si rifà al periodo in cui la città ha iniziato a prendere forma e dall’altro alla caduta dell’Impero Romano avvenuta nel 476 d.C.. In questo modo la Serenissima indirettamente dice che il ruolo dell’Impero Romano verrà sostituito da quello della Repubblica veneziana».
Questa scelta ha avuto degli impatti sulla città?
«Certo, su più ambiti. Nonostante la data sia stata inventata per dare solennità alla potenza della Serenissima, questa scelta ha avuto per esempio un impatto sul calendario perché a Venezia non si usava il calendario gregoriano, ma quello in voga nell’Impero romano che festeggiava il Capodanno il primo marzo. Quindi certo è una leggenda, ma immaginiamoci come doveva viverla il veneziano di quel tempo che riteneva questa data reale. Un esempio è la chiesa di San Giacomo a Rialto, San Giacometo per i veneziani, che si racconta sia stata fondata proprio il 25 marzo del 421 d.C.. Segni si vedono anche proprio sul Ponte di Rialto dove c’è il bassorilievo dell’angelo annunciante da un lato, della Vergine sull’altro e sulla sommità la colomba che rappresenta lo Spirito Santo. Non dimentichiamo il campanile di Piazza San Marco dove sulla cima c’è l’angelo che annuncia alla città il suo destino di gloria».
Ci sono altre tracce a Venezia che si riferiscono a questa leggenda?
«Sì, nel portale di ingresso dell’Arsenale di Venezia c’è la data di edificazione dove si legge 1460, a 1039 anni dalla fondazione della città. Poi c’è uno stupendo Trittico di Jacobello del Fiore alle Gallerie dell’Accademia eseguito per Palazzo Ducale per i mille anni dalla fondazione della città, quindi nel 1421, che raffigura Venezia come Giustizia seduta tra due leoni e gli arcangeli Michele e Gabriele. Inoltre la data viene ripresa nelle cronache di storici ufficiali come Marco Antonio Sabellico e non ufficiali come Marin Sanudo, senza dimenticare nomi come Giuseppe Tassini e Giustina Renier Michiel, detta dosetta, autrice nel 1817 di Origine delle feste veneziane dove ricorda come ogni anno il Doge celebrasse l’anniversario. Quindi perché si accetta che Roma sia nata il 21 aprile 753 a.C. e non che Venezia lo sia il 25 marzo 421 d.C.? È ovvio che entrambe sono date leggendarie, ma fanno parte di come è stata costruita l’immagine della città».
Ma il Mibac ha scelto il 25 marzo come Giornata da dedicare a Dante.
«Personalmente l’ho trovata una scelta disattenta e decisa all’ultimo momento. Dante muore il 14 settembre 1321 a Ravenna, non capisco perché invece di scegliere il giorno effettivo della morte è stato deciso come data per commemorarlo quando inizia la sua discesa agli Inferi e in coincidenza con i 1600 anni di Venezia. Mi sembra una scelta poco attenta per Venezia che con questo anniversario poteva sperare in un’occasione di rilancio con un giorno tutto per sé e festeggiare i suoi 1600 anni».