la Repubblica, 25 marzo 2021
In Libia si gioca il nostro futuro
Con una sequenza senza precedenti, il Mediterraneo ha visto palesarsi il più gigantesco sommovimento geopolitico degli ultimi cento anni. Il realizzarsi, quasi contemporaneo, di due antichi sogni imperiali: quello Russo e quello Turco-Ottomano. Dalla Siria alla Libia. Con una comunità internazionale sorpresa, al limite dell’impotenza. Parliamo degli Usa di Trump, sedotti dalla America First e dal conflitto con l’Europa, sempre più distinti e distanti da quel mare considerato secondario. E di un’Europa stranita, divisa, quasi colpita al cuore da tanta temeraria accelerazione.Le elezioni americane ci hanno consegnato una nuova America. E la presenza di Biden al vertice di oggi dell’Ue, è il più icastico segnale del grande cambiamento. Il Mediterraneo non potrà non giovarsi di ciò. Un nuovo quadro dell’antico legame transatlantico rappresenta una buona notizia per quel “ mare nostrum” che nel tempo è diventato sempre meno nostrum. Poi c’è l’inaspettata opportunità della formazione, dopo anni di drammatica divisione e di una sanguinosa guerra civile, di un governo unitario della Libia. La sua approvazione parlamentare con una maggioranza pressoché unanime rappresenta sicuramente un passo importante.È come se, per una volta, l’impegno dell’“uomo” (una “donna” Stephanie Williams) insieme a quella che Hegel chiamava l’“astuzia della ragione”, avessero promosso una potenziale inversione di tendenza. Intendiamoci, la sfida del nuovo governo Dbeiba, felicemente e tempestivamente incontrato dall’Italia, è da far tremare le vene ai polsi. Mantenere e rafforzare il cessate il fuoco. Liberare il Paese dalle presenze militari straniere. E che presenze. La prima, quella turca, dichiarata. Frutto di un accordo politico e diplomatico, formalmente firmato dalle parti durante la fase più acuta della guerra civile.La seconda, mai dichiarata ma altrettanto incombente: quella della Russia. Con i contractor della Wagner, secondo modalità già sperimentate nel Donbass. La Turchia ha avuto in concessione secolare il cruciale porto di Misurata. Fortissimo, nello stesso tempo, è l’attivismo russo con la costruzione del cosiddetto “vallo di Putin” tra Cirenaica e Tripolitania. A ciò si affianca la notizia della più vicina base di Mig-29 al cuore dell’Europa.Se tutto ciò non bastasse, c’è, poi, il tema dello scioglimento delle milizie interne, che hanno sin qui svolto un ruolo dominante. E di riflesso la costituzione di un sistema di sicurezza e difesa unitario per l’intera Libia. Le prime scelte del nuovo governo nel comparto difesa ed il silenzio assordante di un indebolito Haftar rappresentano qualcosa di più di una semplice incognita. C’è poi, in uno scenario di drammatica emergenza pandemica, da ricostruire un Paese devastato. La cadenza temporale è senza fiato. Con l’obbiettivo di portare il Paese al voto nel dicembre di quest’anno. Intendiamoci, il voto non solo è il compimento naturale di un percorso di ricostruzione istituzionale ma è indispensabile per la stabilità della Libia. Facile a dirsi. Difficile a farsi. Come insegna il recente passato.Le tensioni manifestate con il Parlamento di Tobruk su un percorso costituzionale ed elettorale non rappresentano un buon viatico. Ma questa è la sfida. Lasciare oggi sola la Libia sarebbe un peccato imperdonabile. Tocca all’Europa, in una rinnovata sintonia transatlantica, sostenere il nuovo governo libico. Contribuendo, così, a ridisegnare un nuovo assetto del Mediterraneo. Nel momento in cui ci si appresta a riaprire il negoziato del trattato con la Turchia, l’Ue ha l’imperativo politico di presentare un piano di ricostruzione economica, sociale, istituzionale della Libia. Un piano importante per le risorse economiche impegnate. Ambizioso nei suoi contenuti è finalità. Negoziato con il nuovo governo, ma che soprattutto sappia parlare a quel pezzo, grande, del popolo libico che in questi anni ha guardato con fiducia al Vecchio continente e non si rassegna all’idea di un’egemonia Russo-Turca. Un Piano che rimetta a pieno regime l’attività energetica tradizionale e insieme proponga un progetto per l’utilizzo delle fonti rinnovabili. Un Piano che coinvolga i Paesi del nord Africa confinanti con la Libia. A partire dalla cruciale Tunisia. Che contenga un nuovo patto per il governo dei flussi migratori, che, nel rispetto dei diritti umani, sia incardinato sull’apertura e promozione di canali umanitari e legali e su un impegno chiaro di contrasto al traffico di esseri umani. Un Piano, infine, che sostenga i governi nell’affrontare la sfida della pandemia. Sapendo che la sicurezza sanitaria sarà un tema dominate per tutti i Paesi che ruotano nell’orbita del Mediterraneo allargato. Si tratta di agire in fretta. Perché se “l’inaspettata opportunità” libica di Menfi e Dbeiba dovesse fallire si precipiterebbe, inevitabilmente, in una divisione della Libia per sfere di influenza. Il che rappresenterebbe uno scacco drammatico per l’intera Europa. Il collasso libico rischierebbe un gigantesco “effetto domino”, che potrebbe colpire altri Paesi del Nord Africa. L’Europa non può permetterselo. Perché, mai come adesso, il suo futuro si specchia nelle acque del Mediterraneo.
Con questo articolo Marco Minniti comincia la sua collaborazione con “Repubblica”.Minniti è oggi presidente della Fondazione Leonardo Med-Or