La Stampa, 25 marzo 2021
Intervista a Ayelet Gundar Goshen
Tel Aviv. «Siamo così bloccati, che la sola idea del movimento mi pare impossibile. Era così già prima del voto. A maggior ragione adesso. Ma guardare indietro alla storia mi dà speranza. Sapere che la razza umana ha sempre lottato, affrontato le piaghe, e ci è già passata, mi consente di affrontare la situazione perfino con un po’ di ironia». Sarà che sabato sera inizia Pesach, la Pasqua ebraica, ma le parole di Ayelet Gundar Goshen, psicologa, sceneggiatrice e autrice di romanzi tradotti in italiano da Giuntina, fanno pensare che gli israeliani si sentano, nello stallo elettorale, prigionieri come il popolo ebraico sotto la schiavitù in Egitto.
In cosa, questa notte è diversa da tutte le altre notti? «Nei secoli, gli ebrei prima e gli israeliani poi hanno pronunciato questa frase: che ogni dieci anni c’è un faraone che viene per distruggerci. Netanyahu prova a convincerci che i palestinesi e gli arabi sono uno di questi molti faraoni, una minaccia. Credo che la maggioranza del Paese sia davvero persuasa. Fino a quando la gente continuerà a guardare alla situazione attuale attraverso le lenti del passato, saremo condannati a vivere in loop, ancora e ancora, la stessa fase traumatica».
Parlando di conferme e di sorprese, cosa è andato secondo le sue aspettative e cosa le ha tradite, in queste elezioni?
«Non è che avessi molte aspettative. Speravo che Meretz e i Laburisti sopravvivessero. E sono lieta che ci siano riusciti. Né potevo sperare che vincessero le elezioni. Quindi direi che tutto è andato come mi aspettavo. Certo, è una misera vittoria».
Si aspettava anche il risultato di otto seggi per Blu-Bianco di Gantz?
«Sono sotto choc. Sai come si dice in inglese? “Fool me once, shame on you. Fool me twice, shame on me” ("Se mi inganni una volta, è colpa tua. Se mi inganni due volte, è colpa mia"). Non capisco come la gente abbia potuto votare di nuovo per un partito che aveva un’unica ideologia, cioè contrastare Bibi, dopo che l’ha tradita. O che abbia preferito dare il suo voto a Gantz piuttosto che a una donna come Merav Michaeli. Deve aver a che fare con il machismo israeliano. Meglio un ex generale, anche se ha dimostrato di non essere un vero uomo, piuttosto che una donna con gli attributi. Ma che resta una donna».
Vittoria e sconfitta, due lati della stessa moneta. A chi attribuisce i due risultati?
«Per Netanyahu, è decisamente una vittoria, non c’è dubbio. Non sarà la posizione migliore a livello politico. Ma che un primo ministro accusato di corruzione possa effettivamente meritare la fiducia pubblica e guidare il primo partito in parlamento, pur essendo trascinato in tribunale a testimoniare contro terribili accuse nel bel mezzo di una pandemia, è una vittoria indiscutibile. Dimostra quanto possa essere fragile la democrazia e quanto irresistibile un leader forte. La sinistra israeliana dovrebbe riflettere sul perché non sia riuscita a persuadere gli elettori che la pace è più auspicabile della guerra, che i valori dell’umanesimo sono più importanti di quelli del populismo».
Crede che il blocco anti-Bibi possa formare una coalizione e guidare un governo senza Netanyahu?
«Ne sarei così felice che, se dovesse accadere, stapperei una bottiglia di champagne e mi ubriacherei. Ma credo che certa sinistra tema gli arabi più di Netanyahu. Certo, sarei estremamente felice di essere smentita!».
Come le pare la prospettiva di una quinta campagna elettorale? Sarebbe meglio un governo guidato da Netanyahu?
«Bibi è molto pericoloso per Israele, ma il Paese è fermo da due anni, e non posso credere a tutti i soldi spesi per queste elezioni, nel bel mezzo di una crisi economica e di una pandemia. Il prezzo è troppo alto. Io lavoro nei reparti di salute mentale degli ospedali. Da mesi i budget sono fermi perché non sappiamo quale priorità avrà questo settore per il prossimo ministro della salute. E invece, quello che proprio non abbiamo adesso, è tempo da perdere». —