La Stampa, 25 marzo 2021
Caso Eni, guerra tra i magistrati milanesi
Dopo il caso Eni è scontro aperto all’interno del palazzo di giustizia di Milano. L’ultimo colpo lo ha sferrato il procuratore Francesco Greco che in una nota si è schierato pubblicamente «al fianco» del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale e del pm Sergio Spadaro, rappresentanti dell’accusa al processo. «I quali, nonostante le intimidazioni subite, hanno svolto il loro lavoro con serenità, professionalità e trasparenza». Il riferimento è al processo sulla presunta maxi tangente da oltre un miliardo di euro che per i pm sarebbe stata pagata da Eni e Shell finito in primo grado con l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» di tutti gli imputati. Una sentenza cui ha fatto seguito una moltitudine di polemiche che hanno dato spunto anche a un velenoso botta e risposta in una chat di whatsapp interna della procura.
Dove sono «volati gli stracci», finiti poi qualche giorno fa sulle pagine de Il Giornale. Qualcuno ha chiesto un’assemblea nella procura che però è stata rifiutata, ma la discussione non si è fermata ai pm. Perché nelle scorse ore è intervenuto il presidente del Tribunale, Roberto Bichi, che ha inviato una lettera «di solidarietà» al collegio giudicante del processo Eni Nigeria, al presidente Marco Tremolada e ai colleghi Mauro Gallina e Alberto Carboni, con un ringraziamento «istituzionale» per la conduzione del processo Eni. -Nigeria, nonostante «polemiche di carattere mediatico».
La presa di posizione è contro chi ha sollevato dubbi sull’imparzialità del collegio, paventando una vicinanza tra i giudici del caso e le difese degli imputati. Dubbi emersi nel corso di un’altra inchiesta, quella sulle presunte attività di depistaggio per condizionare le indagini sul caso Eni-Nigeria, aperta dal procuratore aggiunto Laura Pedio e dal pm Paolo Storari, e segnalati alla procura di Brescia, competente a indagare sui magistrati milanesi.
Che, però, ha già archiviato il fascicolo aperto, contro ignoti, per traffico di influenze illecite e abuso d’ufficio. «Stante la gravità delle insinuazioni fatte circolare e riprese e diffuse dai media – scrive Bichi – immagino il riflesso emozionale che ciò può avervi indotto». Passano poche ore dalla lettera di Bichi e arriva la nota del procuratore Greco. Che innanzitutto fa presente che per i fatti su cui si concentra l’inchiesta sul presunto depistaggio delle indagini su Eni, «gli imputati» coinvolti nelle indagini correlate condotte dalle procure di Roma e Messina «tra i quali un magistrato (l’ex pm di Siracusa, Giancarlo Longo, ndr.), hanno ammesso gli addebiti e sono già stati condannati». E aggiunge che «nell’azione di inquinamento, chi l’ha ideata e portata avanti ha anche cercato di delegittimare il pubblico ministero di Milano». In più, a chi anche sui giornali ha parlato del processo Eni come un «grande spreco di denaro», Greco ha ribadito che «in materia di corruzione internazionale l’obbligatorietà dell’esercizio dell’azione penale è rafforzata dagli impegni assunti dallo Stato italiano con la convenzione Ocse di Parigi del 1997».
Nel pieno del caso Palamara, con il delicato ruolo del Csm e la prossima nomina del sostituto del procuratore Greco, che andrà in pensione a novembre, la spaccatura nel Palazzo di Giustizia di Milano, con la fronda interna di alcuni pm, è molto più di una schermaglia tra magistratura inquirente e giudicante. Ma la questione rischia di diventare un caso politico per governo e Quirinale. –