Corriere della Sera, 24 marzo 2021
le 4 lezioni su stato e regioni
Alcune regioni hanno vaccinato quasi tutta la popolazione compresa nelle fasce più deboli, altre solo un terzo. In alcune regioni si è proceduto con la puntualità di un orologio svizzero, in altre sono state commesse clamorose violazioni delle priorità fissate in sede nazionale e si sono verificati gravi disservizi. Insomma, non siamo solo indietro ad altri Paesi, ma registriamo anche variazioni territoriali inspiegabili.
La popolazione vaccinabile è di quasi 51 milioni. I colli di bottiglia sono l’approvvigionamento e la somministrazione dei vaccini. Sull’uno e sull’altro fronte, il governo s’è dato da fare. Ha puntato i piedi con l’Unione europea e ha avviato contatti per la produzione di vaccini in sede nazionale. La legge di bilancio 2021 prevede la preparazione di un piano nazionale di vaccinazione e l’obbligo delle regioni di definire i loro piani vaccinali seguendo le indicazioni e con i tempi stabiliti a livello nazionale; in caso di mancata attuazione regionale, deve intervenire il commissario straordinario. Il ministro della Salute ha presentato il 2 dicembre 2020 il piano al Parlamento. Questo è poi stato adottato con decreto del 2 gennaio. La Conferenza Stato-regioni è stata informata del piano il 9 febbraio e il 21 febbraio ha sottoscritto anche con i sindacati una intesa per mobilitare i medici di medicina generale. Il commissario Figliuolo ha reso pubblico il 13 marzo il suo piano.
Ma qualcosa non ha funzionato. Il presidente del Consiglio dei ministri aveva dichiarato: «Lo Stato c’è e ci sarà». La Corte costituzionale aveva depositato il 13 marzo scorso una sentenza nella quale è scritto che spetta in via esclusiva allo Stato la profilassi internazionale, «comprensiva di ogni misura atta a contrastare una pandemia sanitaria in corso, ovvero a prevenirla».
La disparità di funzionamento delle regioni ha però fatto emergere i punti deboli dello Stato. La mancata individuazione di una piattaforma unica. Gli obiettivi elencati senza standard, tempi e indicatori di «performance» da rispettare. L’assenza di quel «coordinamento costante» che era previsto nel decreto ministeriale del 2 gennaio. Il mancato monitoraggio continuo delle somministrazioni (qui è apparsa debole o assente l’azione dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali – Agenas, tra i cui scopi c’è proprio l’analisi e il monitoraggio della «performance» dei servizi regionali). L’assenza di procedure che consentano ai cittadini di segnalare le disfunzioni del sistema, per farle correggere. Le carenze di interventi sanzionatori (la legge di bilancio prevede un finanziamento statale alle regioni di 110 milioni, che potrebbero essere ridotti) o sostitutivi dello Stato (previsti non solo in generale dalla Costituzione, ma specificamente per il piano di vaccinazione dalla legge di bilancio 2021).
Dal fallimento di alcune regioni e dalle carenze dell’amministrazione centrale, dinanzi a un compito tanto importante per la società italiana, possono trarsi quattro insegnamenti.
Primo: non è dalla struttura accentrata o decentrata dello Stato che dipende il buon funzionamento delle istituzioni. Un Paese con secoli di esperienze di «self government» (il Regno Unito) e un altro a struttura federale (gli Stati Uniti), messi alla prova di una pianificazione nazionale, hanno fatto meglio dell’Italia (e di altri Paesi europei). Lì ci sono gli «anelli di congiunzione» tra centro e periferie, da noi no.
Secondo: regionalismo, riconoscimento delle autonomie, decentramento, non vogliono dire costituzione di repubbliche indipendenti. Quando l’obiettivo è nazionale e così drammatico, bisogna sapere cooperare, invece di alimentare orgogli regionali. L’esempio del Regno Unito e degli Stati Uniti lo dimostra. C’è una evidente sproporzione tra la decisione di affidare all’Unione Europea l’approvvigionamento dei vaccini e quella di far dipendere la loro somministrazione dai piani regionali.
Terzo: abbiamo una costante incapacità di imparare dalle buone pratiche. Perché Lombardia e Calabria non hanno rapidamente seguito l’insegnamento delle «best practices» del Lazio?
Quarto: nel corso della storia repubblicana, ogni volta che un’amministrazione non funzionava, si sono istituiti organismi satelliti, per supplire alle carenze rilevate, preferendo aggirare così l’ostacolo della riforma dell’amministrazione disfunzionale. Si è venuta a costituire una amministrazione disaggregata, ad arcipelago. Di questo fanno parte l’Azienda regionale per l’innovazione e per gli acquisti (Aria) lombarda e la Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, che non sono la soluzione del problema, sono esse stesse un problema.
Il rivoluzionario secondo comma dell’articolo 3 della Costituzione dispone che «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese». Per rimuovere uno di quegli ostacoli, e cercare di assicurare quindi l’eguaglianza sostanziale dei cittadini, si stabilì che «la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo», e più tardi, nel 1978, fu istituito il Servizio sanitario nazionale. Dunque, questo deve assicurare l’eguaglianza di fatto dei cittadini, i «ricchi» e gli «indigenti». Se il vestito ad Arlecchino del servizio sanitario produce, però, nuove diseguaglianze, quella lungimirante idea dei Costituenti sarà tradita.