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 2021  marzo 24 Mercoledì calendario

Intervista a Chloé Zhao

 Chloé Zhao è un regalo. Per chi ama il cinema e le storie inusuali, per gli Stati Uniti attraversati dalla violenza e il razzismo verso la comunità asiatica e per il paese d’origine della regista, la Cina. Nata a Pechino 38 anni fa (vero nome Zhao Ting) innamorata della cultura americana (e del calcio italiano), ha esplorato i paesaggi remoti di South Dakota, Nebraska, Arizona, Nevada e l’umanità dimenticata, trasformato in poesia la fragilità dei suoi protagonisti, spesso presi dalla vita reale. I suoi film trasudano emozione e verità, dai primi lavori fino a Nomadland (in sala appena possibile, dal 30 aprile su Star, Disney+), Leone d’oro alla Mostra di Venezia e favorito agli Oscar: Chloé potrebbe essere la prima regista asiatico-americana a vincere per regia e/o film.
L’umanità economicamente marginale che racconta nel film è quella più piegata dalla pandemia.
«In fondo i nostri protagonisti hanno già attraversato la loro apocalisse personale e sono sopravvissuti, la loro è una storia di speranza. La pandemia ha accentuato la presa di consapevolezza, che i giovani hanno da tempo, che questo sistema di capitalismo sfrenato non porta la felicità. Rigettano l’idea che gli anziani siano da buttare perché non contribuiscono all’economia. Nelle culture antiche sono considerati un patrimonio di saggezza. Ma la pandemia ha accentuato anche, negli Usa, questa mancanza di cura.
Ho fiducia in Biden: l’età, la saggezza, la logica e la passione lo rendono la persona giusta per guidarci».
Cosa ricorda dell’infanzia in Cina e cosa ha portato con sé nella vita americana?
«Sono nata a Pechino, non avevamo internet, non sapevamo cosa accadeva nel mondo esterno. È stata un’infanzia fantastica, senza preoccupazioni. Un momento di grande innocenza, pieno di ricordi vividi con i miei amici. Anche per questo una parte di me è attratta dai posti non toccati dalla modernità.
Perché sono cresciuta senza di essa, anche se a Pechino. La Cina, fino a inizio anni 90, non era come oggi».
Che film ricorda da bambina?
«Fino all’adolescenza non ho visto film. Poi in tv ricordo
True Lies, Sister
Act, Terminator. Per fortuna poco dopo mi sono imbattuta in Happy Together, è nata lì la mia voglia di fare i film. Ma guardavo tutti quelli che arrivavano in Cina».
Ha un legame speciale con l’Italia.
«Ho studiato la vostra lingua per due anni (dice in italiano, ndr). È sciocco, lo so, ma da piccola mi sono appassionata al vostro calcio. Il mio mito era Roberto Baggio, non dimenticherò i momenti cruciali, i mondiali Usa del 1994, quei calci di rigore strazianti, quel gol sfiorato nel 1998 con la Francia. Chiedevo: chi è quel ragazzo con il codino? Mi ha conquistata la sua sofferenza. E mi piace urlare come fate voi, “Forza azzurri”. Al college ho studiato italiano, sognavo Milano, mio padre me lo proibì, “ti innamorerai di un italiano, non tornerai”. Così ho scelto Londra. Non vedo l’ora di venire».
Le difficoltà dell’arrivo a Londra e poi negli Stati Uniti?
«Non parlavo una parola di inglese. È stata dura. Nel ’96 nella scuola di Brighton eravamo solo due asiatici.
Mi sono sforzata di adattarmi ai gruppi, è diventato il mio modo di essere: oggi cerco di inserirmi nelle comunità su cui faccio i film, sento di non appartenere ad alcun posto».
Negli Stati Uniti è stato diverso?
«Sì, sono andata a una scuola pubblica, opposta al prestigioso istituto privato inglese. Sono finita in un gruppo di nerd, niente prestigio ma amicizia».
La preoccupa la tensione Usa e Cina e la violenza contro gli asiatici?
«Mi trovo spesso nel mezzo di realtà divise. Pechino e Washington, ma anche il fatto che giro in Sud Dakota e vivo a Los Angeles, scelgo film indie e blockbuster, sono una donna in un mondo di uomini. Proprio perché attraverso più mondi so che le persone sono simili, a dividerle è la paura, la non conoscenza. I giovani, che studiano in altri paesi, hanno sentimenti diversi dai genitori».
Per Kevin Feige di Marvel la sua proposta per “The Eternals”, oggi in post-produzione, è la cosa più originale mai letta.
«Dividendo la mia vita in tre fasi direi che nella prima volevo essere un’artista dei manga, raccontare storie in modo fantastico e allegorico. Dopo l’adolescenza sono uscita dal mondo immaginario per scoprire realtà, viaggio, filosofia, politica, il cinema di Malick e Herzog. Con The Eternals provo a fondere le due esperienze».
Nel film c’è una famiglia LGBTQ.
«Nella storia degli Eterni ha senso avere il fantastico cast che abbiamo e che riflette la realtà. Angelina Jolie e gli altri attori hanno portato la loro autenticità, vi stupiranno. Non abbiamo fatto sforzi per inserire personaggi con l’etichetta gay: come tutti, amano».
Il successo limita la libertà?
«Il Leone d’oro mi ha resa ancora più libera. Sul fronte Oscar, beh, la me stessa giovane sarebbe stata entusiasta di veder vincere una regista asiatica o nera. Ma spero che il mio film parli e basti da solo.
L’unica pressione che sento è di non sprecare i soldi e il lavoro degli altri».
Come ha trascorso il tempo durantela pandemia?
«Per troppo tempo ho vissuto in giungle verticali di cemento. Oggi vivo in una piccola città sulle montagne a nord di Los Angeles. La mia vita stava andando troppo veloce, è stato un privilegio potermi fermare e godere quel che ho oggi: la mia casa con il cortile, i miei adorati cani e tanti polli».