la Repubblica, 24 marzo 2021
Intervista a Colum McCann
Per il suo nuovo, magnifico libro, Colum McCann ha scelto il titolo Apeirogon, il termine scientifico utilizzato per un oggetto con infiniti lati: ci invita quindi a riflettere sin dall’inizio sugli innumerevoli punti di vista, e quindi sulle altrettante verità, che caratterizzano ogni momento dell’esperienza umana.Basato su una vicenda autentica, è stato accolto come un capolavoro dal Guardian e dall’ Observer, dove Alex Preston è arrivato a dire che «è un romanzo che cambierà il mondo». Il New York Times ha parlato di un libro «potente, brillante e dalla meravigliosa complessità» e la comunità dei narratori si è aggiunta alle lodi con Elizabeth Strout («un libro meraviglioso. McCann scrive con immensa umanità la storia antica dell’inumanità dell’uomo»), Nathan Englander («questo libro splendido e molto sentito, è, prima di tutto, un eccezionale atto di ascolto») e Michael Cunningham: «Un libro come non ne avete mai letti».Da un punto di vista narrativo Apeirogon si colloca infatti a metà tra la narrativa e la saggistica e racconta le vicende dell’israeliano Rami Elhanan e il palestinese Bassam Aramin, accomunati dalla tragedia dell’uccisione delle rispettive figlie. Il racconto delle morti è struggente: Bassam racconta di sentirsi «ancora dentro quell’ambulanza, sperando che lei si muova» e Rami confida di cercarla ancora «nelle strade, nei negozi, nel posto dove acquistava il gelato». Entrambi ne parlano per tenerle in vita: sono diventati amici e testimoniano in prima persona come anche un dolore così atroce possa portare alla redenzione. «Li ho conosciuti durante un viaggio in Israele e Palestina», racconta McCann nel suo appartamento dell’Upper East Side, «si è trattato di un’esperienza che mi ha rivoluzionato la vita e, tornato a New York, sentivo di dover fare qualcosa per onorarne la storia, consapevole tuttavia del rischio di essere un irlandese cattolico trapiantato a New York, estraneo quindi a quella cultura e a quella realtà. Ho voluto conoscere le loro famiglie e, grazie a numerosi viaggi, ho vissuto la loro quotidianità che si intreccia quasi sempre con la violenza, capendo nello stesso tempo che si tratta di temi universali».Ritiene che la letteratura abbia una funzione etica?«Io ritengo che l’arte non abbia necessariamente una funzione etica, ma posso affermare che la mia scrittura desidera averla e che non troverei interessante essere un uomo politico che persegue gli stessi nobili ideali: ciò significa che amo anche la scrittura per la sua qualità formale e con essa cerco di esplorare la natura umana, sia che parli del giardino dietro casa o della Palestina».Quali sono i rischi del “messaggio”?«Quello di divenire prevalente sulla compiutezza artistica: lo scrittore deve avere come fine unicamente raccontare la miglior storia possibile. Aggiungo che è fondamentale far finire il libro al lettore, senza dirgli come si deve sentire. Al limite lo scrittore può sussurrare».Perché per una storia autentica e dolorosa ha scelto come modello “Le mille e una notte”?«Samuel Beckett sosteneva che il lavoro dell’artista è quello di trovare la forma che aggiusti la confusione. Nel caso di questo libro, mi sono reso conto che i due genitori raccontavano le storie delle rispettive figlie per tenerle in vita e questo mi ha fatto pensare a Sherazade. Ho voluto chiamare le storie Cantos, nella speranza che avessero una dimensione musicale e sinfonica».Bassam è stato in galera per aver lanciato una bomba a un gruppo di israeliani, ma dopo la tragedia ha studiato l’Olocausto, che per i palestinesi è un’invenzione del popolo ebraico.«Tutto ciò rende ancora più straordinario il suo atteggiamento.Per questo motivo è stato odiato da gran parte della propria comunità, come del resto è successo anche a Rami, al quale è stato imputato di non essere un vero ebreo. Ma entrambi si sono posti con coraggio nel lato giusto della storia, sapendo che la verità non è mai unica».Rami e Bassam riescono a trovare solidarietà, complicità e fratellanza grazie al dolore: è l’unico modo per giungere alla pace in quelle terre?«Io spero che non sia sempre così. Il mondo è unito anche da storie che non sono sempre dolorose e, nel mio caso, credo che l’itinerario sia di redenzione. Sia Rami che Bassam continuano a provare rabbia per molte cose, ma sono riusciti a esorcizzarla e trasformarla, come del resto hanno fatto anche con il dolore».Quali sono stati i passaggi più difficili per comprendere le ragioni e il dolore degli altri?«Il tentativo di capire le persone che li odiano: chi odia nega la complessità e rifiuta di capire».Steven Spielberg ha acquistato i diritti del libro per farne la terza parte della trilogia dedicata al popolo ebraico, dopo “Schindler’s List” e “Munich”.«Non potevo sperare di meglio, e lui ha voluto che tra i consulenti, oltre al sottoscritto, ci fossero le due famiglie, affidando la sceneggiatura a Luke Davies, poeta e regista, nonché autore dei copioni di Lion e Beautiful Boy. Spielberg è un maestro della narrazione e conosce l’epica del quotidiano. È uno dei pochi registi che con il suo lavoro può contribuire a cambiare qualcosa di quello che non funziona nel mondo».Nel racconto dello scempio del corpo di Cristo si sente più la sua ascendenza cattolica che il retroterra dei due protagonisti.«Questo è un dato innegabile. Io penso che tutti prima o poi andiamo a Gerusalemme, in un modo o nell’altro: quando ho avuto l’opportunità di farlo realmente sono rimasto colpitissimo dalla convivenza delle tre grandi religioni. Ma in ogni strada, in ogni angolo, in ogni momento, sentivo che quello era il luogo dove era stato crocefisso Cristo».In una scena memorabile c’è uno spettacolo musicale nel campo di concentramento di Theresienstadt.«Ho scoperto questa storia al Museo dell’Olocausto di Gerusalemme e penso che noi siamo quello che siamo stati: ciò vale anche per i nostri momenti peggiori».Nel libro compare anche Jorge Luis Borges in visita a Gerusalemme.«Borges esplorava l’idea dell’infinito e delle infinite verità molto prima e certamente meglio di me: non potevo non parlarne quando ho scoperto che era stato lì. Ed è suo il meraviglioso verso che racconta meglio di ogni altra cosa il dolore dei due padri per la morte delle figlie: “Con te e senza te è l’unico modo che conosco per misurare il tempo"».