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 2021  marzo 24 Mercoledì calendario

Intervista a Giorgio Minisini, un re nel mondo delle sincronette

L’avrebbe applaudito anche Esther Williams, sì. Come tutti quelli che lo hanno visto gareggiare alla piscina di Riccione, testimoni di un momento storico: un maschio campione italiano. Re nel mondo delle sincronette, Giorgio Minisini. Quel giorno è dunque arrivato. Giorgio lo aspettava da 25 anni.
Complimenti, questo è un momento simbolico della sua vita.
«Sì, ma penso anche al successo della
squadra, le Fiamme Oro. Ci tengo a dirlo. E su di me, cosa posso dire?».
Oggi? Esprimere i sentimenti...
«Se vado a ritroso, ricordo di aver sempre dovuto dimostrare qualcosa.
Anche sulla sessualità, quand’ero bambino: ho sempre dovuto dimostrare quello che ero, sebbene fossi certo del mio essere etero».
Ma per un maschio che sceglie uno sport praticato solo da donne si immaginano gli epiteti.
«L’espressione gay per me non è un’offesa, e nemmeno una presa in giro. Io l’ho superata perché non lo ero, ma ho sempre dovuto dimostrare di non essere un fenomeno da baraccone. Dimostrare di valere qualcosa, di poter dire qualcosa, di poter fare qualcosa».
Si è sempre sentito come il diverso della situazione.
«La minaccia della presa in giro faceva sì che non mi esponessi: scuola, amici, sport. Attenzione, niente di così tragico, ma la sofferenza c’è stata. Superata solo quando ho capito che era una parte di me e l’ho accettata. Ho avuto più stima di me, e mi ha aiutato tanto».
Poi c’è quella sensibilità sociale, vedi il progetto Filippide.
«Sì, il progetto paralimpico 2019 con le sincronette Arianna Sacripanti e Selene Mirra. Una chiamata che non si poteva rifiutare: un onore, un dovere e un piacere: un momento magico. Che mi ha fatto capire altro».
Specificamente cosa?
«Fossi nato dieci anni prima non avrei scritto questo percorso: la fortuna di essere al tempo giusto e nel momento giusto. Le mie certezze realtà: sin da quando ero piccolo pensavo che un giorno le cose sarebbero cambiate. Che la strada del sincro mi avrebbe portato dove volevo. Mi aiutavo con le parole della canzone di Luigi Tenco, “Vedrai vedrai che un giorno cambierà”, pensando che un giorno sarei stato accettato».
Quel giorno è oggi.
«Felice che il mio messaggio, il tipo di sincronizzato che volevo fare, ha funzionato. Credo che nel 2021 il tradizionale concetto di bellezza maschile e femminile sia concetto fumoso: non ho vinto perché io più femminile, e né le ragazze hanno perso perché meno maschili. Conta solo quello che si fa in acqua».
Vuoi vedere che i giudici del nuoto sincro sono le persone più aperte, socialmente parlando?
«Sappiate che mio padre è giudice, e mia mamma coach. Quanti litigi a casa, tra loro due, perché papà mi dava sempre i voti più bassi… ma forse la risposta, è davvero: sì».
Alla fine della fiera oggi, a 25 anni, è uomo fatto e felice.
«Eppure gli ultimi due anni sono stati molto tosti: ho dovuto affrontare le cose che mi tenevo dentro da tanto tempo. Devo ringraziare la mia compagna, la mia allenatrice, la mia compagna di doppio e lo psicologo dello sport della Fin. E anche il lockdown: chiuso in casa mi ha costretto ad affrontare i miei demoni: costretto, ho constatato di dover convivere con una certa parte di me, ho affrontato le mie insicurezze, un mio certo carattere disfattista».
E quindi? Qual è la lezione?
«Se vogliamo una società più bella dobbiamo accettare di essere come siamo: non scegliamo dove, come e quando nascere. Ma quello che siamo, lo siamo noi. L’essere macho, la virilità dell’uomo non esiste più: ogni uomo, ogni donna, può essere il massimo semplicemente com’è. La bellezza non ha genere».