La Gazzetta dello Sport, 24 marzo 2021
Biografia di Ikechukwu Lawrence Okolie
Mentre la carne dell’hamburger sfrigola sulla piastra, quel ragazzone ben oltre il quintale butta un occhio furtivo sullo schermo: in quel momento, insieme a lui, ci sono altri milioni di britannici con lo sguardo incollato alla tv. Perché Anthony Joshua sta vincendo l’oro nei supermassimi ai Giochi di Londra. Per Ikechukwu Lawrence Okolie da Hackney, sobborgo di Londra, figlio di immigrati nigeriani che lavora come cameriere al McDonald’s di Victoria Station, è la scintilla: «Quel giorno, ispirato da AJ, decisi che sarei diventato un pugile di successo».
Giorni bui
Da allora, di anni ne sono passati quasi nove, e Okolie adesso guarda incredibilmente il mondo dall’alto al basso, con ai fianchi la cintura iridata Wbo dei massimi leggeri conquistata sabato sera alla Wembley Arena. Un k.o. non solo all’avversario polacco Glowacki, ma anche ai giorni bui che hanno accompagnato la sua esistenza da adolescente obeso e bullizzato. A 15 anni, al liceo, Lawrence pesa già 120 chili ed è il bersaglio preferito dei lazzi pesanti dei compagni perché è grasso, perché è nero, perché è africano, perché è goffo e perché non fa mai a botte con gli altri anche quando lo offendono: «Nelle lezioni di ginnastica a scuola, alla fine rimanevo dieci minuti in più negli spogliatoi per non farmi vedere dai compagni. Avevo vergogna di me». Il peso non è soltanto un problema nelle relazioni sociali, visto che si riverbera pure sulle condizioni di salute, con dolori alle ginocchia che gli impediscono quasi di camminare. Deve dedicarsi allo sport, gli consigliano caldamente i medici: «Così ho cominciato con il basket, e poi con il calcio, ma quando facevano le squadre, mi sceglievano sempre per ultimo. Come opzione estrema, sono andato in palestra a tirare di boxe e siccome finalmente perdevo peso e nessuno mi derideva più temendo che lo prendessi a pugni, ho continuato». Ma la nobile arte all’inizio non è una prospettiva di vita, perché la madre lo vuole iscritto al college e la ciccia torna rapidamente a salire: infatti il teenager Okolie si ritrova nelle cucine di un McDonald’s fino al pomeriggio fatale del trionfo di Joshua. Che arriva dai sobborghi, ha origini nigeriane come lui, ha sofferto i pregiudizi e senza la boxe sarebbe diventato probabilmente uno sbandato: non può che scattare un feeling immediato.
Il mentore e l’orologio
Infatti, sceso a 90 chili e convocato in nazionale, Lawrence conosce finalmente il suo idolo e nel 2014 gli fa addirittura da sparring partner. Poi, dopo l’avventura olimpica a Rio (Savon lo elimina negli ottavi), con il passaggio al professionismo Joshua lo accoglie nella sua agenzia di management e lo segue come un mentore. Okolie ha mano pesante, è un po’ legnoso ma possiede un’incredibile etica del lavoro, tanto che Fury lo chiama per preparare al meglio la seconda sfida con Wilder. A colpire è anche il soprannome, «The Sauce», Salsa, che deriva ovviamente dalle esperienze lavorative e che lui stesso ha scelto: «La boxe è come un hamburger, gli ingredienti base sono uguali per tutti, la differenza è la salsa che ci metti sopra tu». Uomo intelligente e sensibile fuori dal ring, incide pure un disco rap che diventa la sigla d’ingresso dei suoi incontri e scrive un libro sulle sue esperienze di ragazzo ghettizzato, che nel tempo libero presenta nelle scuole del regno. Soprattutto, ora si aspetta che il promoter Eddie Hearn mantenga la promessa: «Quattro anni fa, quando firmai con lui, mi disse che se fossi diventato campione del mondo mi avrebbe regalato un Rolex. Io sono qui». Per uno strano gioco del destino, Lawrence ha centrato il traguardo al 16° match, proprio come Joshua: «Vincere il titolo è stato fantastico, sono passato attraverso critiche e scetticismo. Lo dedico a chi ha sempre pensato che fossi spazzatura». Qualcuno però non ne ha mai dimenticato le qualità: subito dopo il successo, McDonald’s ha postato un tweet di congratulazioni «per l’ex dipendente che ha conquistato il mondo». Partendo dalla friggitrice delle patatine.