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 2021  marzo 24 Mercoledì calendario

I neoborbonici sopravvissuti

Un cumulo di coincidenze, dalle ricorrenti polemiche contro il nord «predone» agli spunti offerti dal secolo e mezzo (e passa) unitario, offre il destro per l’ennesimo strale contro la borghesia. Per essere precisi, contro la borghesia minoritaria e rivoluzionaria che riuscì, sotto l’indispensabile guida di Camillo Cavour, a unificare l’Italia.Ebbene, che ci sarebbe di nuovo? La storia è stata da millenni mossa da minoranze forzatamente rivoluzionarie, o contro l’assetto esistente o per la riproposizione di un precedente sistema. L’Italia non fu unita certamente né dal clero né dai contadini, i quali dal primo dipendevano in toto. Giuseppe Garibaldi nei suoi poco grammaticati scritti se la prendeva sia con i «chiercuti» sia con i lavoratori della terra, non trovandone alcuno: li odiava, anche perché la sua mira sovranitaria non era compresa se non da una minoranza di connazionali.
Ad agitarsi furono in genere piccoli aristocratici, borghesi emergenti, studenti.
Personaggi appartenenti alla nobiltà, anche elevata (i Borromeo), avrebbero potuto occuparsi di ricchezza e di sentimenti, di arricchire e di viaggiare, di leggere e di divertirsi: invece sacrificarono la loro stessa vita, per badare a rivendicare l’Italia unita e (quasi tutti infine adattandosi) alla sovranità sabauda. Fra loro indiscutibilmente primeggiò Cavour, come si vide quando scomparve a parziale conclusione del suo inenarrabile districarsi fra eventi diplomatici e militari, sociali ed economici, politici e storici: nessuno fu in grado di rilevarne l’eredità ed ebbe così l’avvio la torma di drammi mai come in questi giorni rimarcati (a proposito o a voluto danno).
Di là della figura del singolo, però, stette una minoranza quasi irrilevante, se si voglia, capace di trascinare all’assenso o, almeno, di condizionare e zittire. Era la borghesia attiva, pronta alla sfida e capace della vittoria, che seppe instillare il germe del proprio liberalismo in successive generazioni, pur quando emersero le differenze.
Così a succedere alla generazione che avviò l’Unità operarono quelle che la portarono a compimento, pur tra neutralismo (da Benedetto Croce e Giovanni Giolitti) e interventismo (da Giovanni Gentile a Filippo Tommaso Marinetti). Fu sempre essenzialmente la borghesia ad agire, a trascinare, a far sì che da Caporetto si arrivasse alla Vittoria. Come fu la borghesia a pagare il biennio rosso, i tracolli del dopoguerra, le lacerazioni che recarono al fascismo.
Dar l’assalto a quella borghesia, già vincente, può essere appagante soltanto per un’altra minoranza che ne contesti scopi e ideali e le contrapponga un’altra visione della nazione, o meglio un’altra società. Scoprirsi anti risorgimentali o anti unitari nel 2021 non ha molto fondamento, eppure è una pratica in uso, non appena fra i neo borbonici e i, ben più rari, nostalgici del papa re.
Quella minoranza non esiste più da un pezzo, pur se ha saputo ancora esprimersi in maniera decisiva, come avvenne nell’aprile 1948, quando contribuì in maniera determinante a scegliere la libertà: per essere precisi, a chiamare la maggioranza alla libertà. Non sono più nemmeno riscontrabili le maggioranze, amorfe ove si voglia, che nei secoli si lasciarono approdare all’Unità. Il sipario è calato.