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 2021  marzo 23 Martedì calendario

Intervista a Francesco Meli

Non c’entra la musica, ma la fama: una casa vinicola del veronese gli ha dedicato due vini, Melincanto e Melidivino. Lui è Francesco Meli, genovese, classe 1980, star internazionale tra i tenori: “Un mio erede” ha detto Placido Domingo. «Sono onorato ma sono successi che vivo con semplicità», confessa da Genova il “tenore verdiano” come ormai è famoso a Vienna, Salisburgo, Londra, New York, Chicago. Nemmeno la pandemia lo ha fermato: reduce da due settimane in Giappone «dove i teatri sono aperti e affollati» ha inaugurato da direttore l’accademia di alto perfezionamento per cantanti lirici al Carlo Felice di Genova; domani sarà alla Scala per un recital in streaming e il 27 al Massimo di Palermo diretto da Riccardo Muti, al quale deve tutto dopo che lo scelse, ventitreenne, allievo del Conservatorio Paganini, per i Dialoghi delle carmelitane alla Scala e dal 2012 all’Opera di Roma per i titoli verdiani.In Giappone ha ritrovato il pubblico dal vivo. Che impressione le ha fatto?«Grandiosa, anche se non poteva acclamare ma solo applaudire. Lì i teatri sono pieni, non capisco perché da noi siano ancora chiusi».Lei però è stato contagiato a ottobre proprio quando era alla Scala per “Aida”.«Ma chi può dire dove mi sia contagiato? Magari al bar, in albergo. Sono stato fortunato col Covid: è durato 15 giorni, ho avuto solo la perdita dell’olfatto».Nessun problema con la voce?«No, forse perché per me la musica è qualcosa di naturale. Da ragazzo non mi ha spinto nessuno. Mio padre ascoltava la classica ma la passione era tutta mia. A otto anni ascoltavo Pavarotti in un walkman che mi aveva regalato mio nonno. Ho studiato pianoforte e verso la maturità ho capito che volevo cantare».E con gli acuti che rapporto ha?«Di amore e odio, come tutti i tenori.Preferisco che si ometta un acuto piuttosto che sottovalutare il fraseggio, ma poi, ovvio, l’acuto è galvanizzante».Li insegnerà anche ai suoi allievi dell’accademia?«Dell’accademia parlavamo da tanto con il sovrintendente del Carlo Felice, Claudio Orazi: un luogo per il futuro del belcanto. Lavoreremo su L’elisir d’amore. È il mio teatro, lì ho mosso i primi passi da spettatore e dasolista».Parliamo delle sue scadenze?«Ho appena registrato al Carlo Felice la Messa solenne di Mercadante, eseguita solo una volta nel 1868 con un organico maschile perché nell’800 in chiesa le donne non potevano cantare».Domani torna alla Scala.«Con Maria Agresta faremo duetti e arie che non ho mai eseguito, diretti da Nicola Luisotti. E il 27 al Massimo il Requiem di Verdi con il maestro Muti, con cui andrò in Giappone e a giugno all’Arena di Verona. Il sogno? Fare Pagliacci al Carlo Felice, era saltato a dicembre. Sarebbe il segno che il peggio è passato».