la Repubblica, 23 marzo 2021
L’opzione Biden per la Nato
Antony Blinken, segretario di Stato americano, si siede oggi al tavolo della Nato. Ha prima rafforzato il fronte asiatico, confermando così che per l’America di Biden, come per Trump, la Cina è il vero rivale strategico del 21° secolo. E adesso si rivolge all’Atlantico. Blinken, legato al Vecchio Continente da ragioni famigliari e culturali, ha un compito semplice, almeno in apparenza: i rapporti con gli europei non possono che migliorare dopo quattro anni difficili. L’amministrazione democratica è infatti tornata a vedere nelle alleanze un vantaggio, piuttosto che un costo o un fastidio. O meglio, il principale vantaggio comparato di cui dispone l’America rispetto alla Cina.Blinken darà rassicurazioni agli europei sull’articolo 5 della Nato: la clausola di difesa comune, che collega l’America alle sorti del Vecchio Continente. Ma aggiungerà che l’Alleanza atlantica deve riflettere le preoccupazioni attuali degli Stati Uniti. Contenere la Russia alle frontiere orientali dell’Unione europea è la missione storica della Nato: Joe Biden non ha certo su Putin le stesse ambiguità di Donald Trump. Dal punto di vista degli Stati Uniti, la Russia non è una potenza in ascesa o con un grande futuro. Ma va fermata nelle sue rivendicazioni revansciste all’interno dello spazio ex-sovietico (dall’annessione della Crimea in poi); va controllata nel Mediterraneo (presenza in Siria e in Libia, sfruttando i vuoti di potere che si sono aperti); va contrastata nelle sue velleità di minare la tenuta interna delle società democratiche. Poi si potrà anche parlare, come Washington fa e intende fare, di controllo degli armamenti o del futuro dell’Afghanistan dopo il ritiro annunciato dei paesi Nato. In breve, la Russia è il passato e resta il presente della Nato. Ma la Cina è il futuro. Lo conferma la riflessione che si è aperta a Bruxelles sulla Nato del 2030, come premessa di un nuovo concetto strategico. Il problema è chiaro: se l’Alleanza atlantica non avrà niente da dire sulla priorità numero uno della sicurezza americana, rischierà di diventare marginale, con un distacco progressivo fra le due sponde dell’Atlantico. La risposta al problema è più complicata: la Nato resterà un’alleanza regionale, dal punto di vista militare; ma come alleanza politica dovrà consultarsi sull’impatto sistemico dell’ascesa cinese. In particolare su ciò che conta davvero per il futuro della sicurezza occidentale, con le nuove dimensioni cyber ed ibride: il mantenimento di una superiorità tecnologica. Facciamo alcuni esempi. È importante che gli alleati atlantici discutano standard comuni sul controllo delle tecnologie critiche, 5G e non solo; è decisivo che riducano la loro vulnerabilità e dipendenza da materiali critici per la sicurezza.E la Nato dovrà sviluppare la cooperazione con le democrazie “indo-pacifiche”. Come indica la traiettoria geografica della missione di Blinken, l’America punta a rafforzare due sistemi di sicurezza collegati fra loro, con gli Stati Uniti come perno centrale. È una strategia di doppio contenimento verso i rivali autoritari, il cui limite principale è probabilmente quello di spingere Russia e Cina verso un matrimonio di convenienza.Il compito semplice di Blinken diventa così per gli europei un compito impegnativo. Perché l’America disposta a cooperare ha anche delle cose da chiedere. Non si tratta solo della tradizionale pressione per un aumento delle spese militari al 2% del Pil, obiettivo ormai raggiunto da 11 dei 30 Paesi Nato (ma non è il caso di Italia e Germania). In discussione è la coerenza delle politiche europee verso la Russia, con una pressione che aumenterà sulla Germania – da parte americana ma anche europea – per il congelamento del gasdotto Nord Stream 2 (che aumenta la dipendenza da Mosca ed esclude l’Ucraina). La Nato dovrà prepararsi, inoltre, a una nuova divisione delle responsabilità: l’America lascerà in parte la gestione del Mediterraneo agli europei. È uno scenario che metterà alla prova l’ambizione alla cosiddetta “autonomia strategica” dell’Ue e che interessa all’Italia, che ha bisogno del sostegno diplomatico degli Stati Uniti per recuperare centralità in Libia.Soprattutto, si tratta di evitare uno scollamento atlantico sulla Cina: l’Europa ne sembra ormai consapevole, come dimostrano le sanzioni mirate contro funzionari cinesi che l’Ue ha concordato con Stati Uniti, Gran Bretagna e Canada. È la risposta alla repressione della minoranza uigura nello Xinjiang; ma è soprattutto una scelta di collocazione politica, da parte di un Vecchio Continente che ha peraltro fortissimi interessi economici in gioco sul mercato cinese. Sul resto dell’agenda di Bruxelles – sicurezza e climate change, supporto Nato nella gestione della pandemia, “resilienza” delle società democratiche – un accordo è scontato: la Nato ha tutto da guadagnare dimostrandosi più vicina alle preoccupazioni dei cittadini.L’Alleanza atlantica non è certo nella condizione di “morte celebrale” descritta in passato da Emmanuel Macron. E rilanciare i legami fra Europa e Stati Uniti, in un contesto strategico dominato dall’ascesa della potenza cinese, è nell’interesse di entrambi. Ma a condizioni e costi che devono essere negoziati. L’America dovrà condividere le decisioni; l’Europa le responsabilità. La missione di Blinken è solo un inizio.