La Stampa, 22 marzo 2021
Intervista a Gino Strada
«La sanità non può essere gestita dalle Regioni, soprattutto in questo momento». Parla con cognizione di causa, Gino Strada, fondatore di Emergency, che ha da poco terminato la gestione di un reparto Covid a Crotone. «Per fortuna non abbiamo dovuto affrontare numeri impressionanti nella seconda ondata – spiega – la struttura non è mai stata piena. Restiamo a disposizione per altro, se ce lo chiedono».
Ad esempio, un supporto per la campagna di vaccinazione anti Covid? La Calabria è una delle ultime Regioni per numero di somministrazioni…
«Pronti a dare una mano per cercare di accelerare la campagna, è inaccettabile che gli anziani ottantenni in Calabria aspettino ancora il vaccino, mentre in altre Regioni sono quasi tutti già protetti. Ma lì il problema è più ampio: la sanità territoriale è saltata, hanno chiuso 18 ospedali, le persone non sanno dove andare a farsi curare e vengono spinte verso le strutture private».
Però anche nella sua Lombardia sta succedendo di tutto. La famosa eccellenza sanitaria lombarda è un ricordo?
«Quello è un falso mito da sfatare. Siamo di fronte a un caso mondiale di inefficienza, un situazione incredibile: responsabili di un settore che si lamentano perché il loro settore non funziona, come se il ministro dei Trasporti denunciasse che i treni sono in ritardo. Non sono neanche riusciti a organizzare le prenotazioni per le vaccinazioni, quello che è successo a Cremona è assurdo».
Il problema, forse, è aver affidato alle singole Regioni la gestione della sanità e, quindi, della campagna vaccinale?
«Sì, così si aumentano solo le diseguaglianze. Sono convinto che la sanità, specie durante una grave pandemia, non possa essere gestita a livello regionale, deve tornare sotto il controllo statale. Serve un passo avanti, che in realtà è un passo indietro. Altrimenti succede che si vaccinano gli avvocati e i professori universitari prima degli over 80 e dei malati cronici: un non senso assoluto».
Ora si parla di un’accelerazione della campagna, di decine di milioni di dosi in arrivo, di immunità di gregge entro settembre. Che ne pensa?
«Mi sembra che chi arriva le spari più grosse del predecessore e che gli obiettivi fissati nel breve periodo siano poco realistici. Certo, arriveranno più dosi, ma non come previsto: la Commissione europea ha negoziato male con le aziende farmaceutiche, servivano clausole più stringenti sulle forniture e sulla capacità di produzione. Poi il fatto di non avere un vaccino europeo ci penalizza rispetto a Stati Uniti e Gran Bretagna».
Il potere delle aziende farmaceutiche prevale su tutto o quasi, ha portato anche alla bocciatura della proposta di liberalizzare i brevetti dei vacini anti Covid?
«Sì, la proposta partita da India, Sudafrica e da altri 100 Paesi è stata già stoppata da Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione europea, guarda caso dove ci sono le aziende produttrici dei vaccini. L’obiettivo era ampliare la produzione e, quindi, la distribuzione a tutti, non solo a chi si può permettere di pagare tanto e in anticipo, come gli inglesi che hanno dato 11 miliardi ad AstraZeneca prima ancora di sapere se il vaccino fosse buono. Preferiamo mantenere i nostri privilegi, senza capire che così non ne usciremo».
Se non vacciniamo i Paesi poveri non vinceremo il virus?
«È chiaro, perché favoriremo l’insorgenza e la diffusione di nuove varianti che potrebbero rendere inutili i nostri vaccini. Nei Paesi ricchi ormai vacciniamo una persona al secondo, in quelli poveri sono ancora lì che aspettano e, di questo passo, ci vorranno due o tre anni. È un fatto epocale, non solo perché è una gravissima discriminazione, ma perché è dannoso dal punto di vista sanitario. Tra l’altro, un sondaggio che abbiamo commissionato noi di Emergency con Oxfam, ha evidenziato come l’80% degli italiani sia contrario ai monopoli sui vaccini».
E in Italia? L’immunità di gregge è raggiungibile senza obbligare nessuno?
«Credo che ci sia un po’ di diffidenza, ma ora focalizzata più che altro su un vaccino, quello di AstraZeneca, sul quale sono stati commessi errori di comunicazione clamorosi. Bisogna evitare di creare o alimentare la sfiducia, mentre serve più informazione a livello istituzionale: spiegare bene alle persone come funzionano i vaccini, quante vite hanno salvato nel mondo, facendo scomparire diverse malattie».
Vale a maggior ragione per medici e infermieri, no? E se non vogliono vaccinarsi?
«Credo che sia una questione di responsabilità sociale e di deontologia professionale: devono avere contatti continui con i pazienti, non possono essere potenziali veicoli di contagio. Quindi, se non si proteggono, non devono poter esercitare. Non è una bella cosa lasciarli a casa, ma non lo è nemmeno fare propaganda no vax con il camice. In Emergency non permetteremmo a chi non si vaccina di lavorare con noi. —