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 2021  marzo 22 Lunedì calendario

Intervista a Sergio Romano

Lui: “Sei un killer”. L’altro: “Ti sei visto allo specchio forse. Comunque ti auguro buona salute”.
Ambasciatore Romano, quando i presidenti di due delle tre potenze mondiali si scambiano parole così oltre il limite della ragione e della normale prudenza, i diplomatici incrociano le mani in segno di resa e aggiungono un amen? 
Ma no, i diplomatici si affrettano, come hanno fatto quelli statunitensi, a spiegare che il loro Paese non ha nessuna intenzione di rovinare i rapporti con la Russia e che quelle di Biden sono state spinte da un moto d’ira. Nulla più.
Resta però inquietante la facilità con la quale si scagliano queste parole. 
Dunque: Biden è un noto gaffeur. In America si sa da tempo, noi lo stiamo conoscendo adesso. Bravissimo, generoso, però con un’esposizione alla parola in libertà fuori dal comune. C’è da dire anche che stava rispondendo a una domanda, quindi un po’ è stato aiutato a scivolare nella contumelia e poi c’è da aggiungere che evidentemente qualche sassolino nella scarpa voleva toglierselo davvero. Detto ciò, è assolutamente certo che gli Stati Uniti hanno bisogno in questo momento della Russia per tenere alto e vincente il confronto con la Cina, il cui tratto egemonico impensierisce e tanto.
Sembrava che con Trump fosse terminata l’età della parola disinibita, del colpo al di sotto della cintura. 
In generale il turpiloquio è figlio di un momento rivoluzionario in cui ci si sente liberi di esprimersi in qualunque modo, anche il più triviale. E non c’è dubbio che oggi siamo davanti al declino delle democrazie parlamentari in tutto il mondo.
A gennaio siamo stati spettatori dell’invasione di fanatici nel congresso di Washington. Un’invasione a mano armata, un fatto inaudito. E pareva che Biden fosse colui che dovesse raffreddare la temperatura. Il nonno pompiere, pragmatico, ricostruttore di una identità comune. 
Quell’assalto è stato il punto di non ritorno ma anche la prova che il fatto più clamoroso, e più lontano dall’idea del possibile, poi si realizza per davvero. La democrazia americana è in grave crisi, il principio della supremazia assoluta del voto popolare è messa in dubbio. Chi perde non accetta il verdetto. Che resta la pietra angolare della salute democratica di ogni Stato. E in Europa fioriscono i sovranismi e prendono forma le democrazie illiberali, come quella di Orban.
O quelle autoritarie come la Russia di Putin. 
Esatto.
Dentro questo sommovimento il turpiloquio diventa un ulteriore segno della destabilizzazione identitaria. 
È la liberazione da ogni limite, la sovversione del principio della prudenza. Naturalmente dobbiamo dire che è anche la rappresentazione di una grande prova dell’ipocrisia. Gli Usa come la Russia non hanno alcuna intenzione di bruciare i ponti.
Il gesto clamoroso e fuori dal comune l’abbiamo già visto con la scarpa che Nikita Kruscev sbattè sui banchi dell’Onu il 12 ottobre 1960. Ma quel gesto aveva una carica simbolica, una forza imparagonabile con la volgarità a cui stiamo assistendo. 
Quando un Paese è determinato a rompere una relazione ha altri strumenti per farlo. Qui, e di nuovo mi ripeto, siamo di fronte da un lato a una fragilità individuale, all’incapacità di Biden a tenere a freno la lingua, e dall’altro a un’enorme dose di ipocrisia di cui anche Putin dà prova. L’interesse russo in questo momento, coincide con quello americano.
Resta la formalizzazione del turpiloquio. 
La liberazione del linguaggio è figlia di questo impeto che, tra virgolette, definisco rivoluzionario. Declina ovunque l’istituto della democrazia rappresentativa. Ricordi che anche in Italia siamo ricorsi a una figura di emergenza.
La chiamata in campo di Mario Draghi. 
Penso il meglio di quest’uomo. Ma farne un messìa è la prova manifesta di questa crisi. La santificazione di Draghi è assai preoccupante perché indica questa affannosa ricerca che una democrazia in buona salute non avrebbe necessità di avanzare.
E invece siamo al santo che ci libera dalle tenebre. 
Ecco.