Huffington Post, 20 marzo 2021
Alexi e il domino del razzismo
Se state per leggere questo articolo, una precauzione: prendete un analgesico altrimenti ne uscirete con il mal di testa.
Alexi McCammond, pochi giorni dopo avere assunto la direzione di Vogue Teen, è stata licenziata per dei tweet di dieci anni fa, quando aveva diciassette anni. Accusa: razzismo e sessismo. Non so qui se sia il caso di sottolineare che McCammond non è Wasp, cioè non è bianca, anglosassone, protestante, cioè non appartiene alla classe sociale-etnico-culturale considerata la culla del suprematismo bianco. Dico quello che non è perché non so dire quello che è, non so quali termini siano politicamente accettabili per definirla, e per non correre il rischio di essere arruolato d’ufficio nel Ku Klux Klan. Ecco, il Ku Klux Klan: di sicuro non se ne direbbe McCammond un’affiliata.
Ripartiamo da capo. Alexi McCammond, ventisette anni, giornalista super emergente, premiata nel 2019 dalla National Association of Black Journalists e inserita da Forbes nell’elenco dei trenta Under 30 più interessanti d’America, viene promossa dall’editrice Condé Nast alla guida della rivista per adolescenti del gruppo. La Condé Nast ha qualche grana, e alla monumentale Anne Wintour, direttrice globale di Vogue, è toccato di scusarsi davanti alle proteste del Black Lives Matter per non aver preso nella dovuta considerazione la creatività dei neri. Alexi dunque è perfetta per rifarsi un’immagine. Nessuno purtroppo ricorda il casino di un paio d’anni prima, quando erano stati tirati fuori i tweet adolescenziali di McCammond. Aveva scritto “stupido professore asiatico” e delle mattine in cui ci si sveglia con “gli occhi gonfi da asiatici”, più altri in cui usava i termini gay e homo in senso dispregiativo. La giovane giornalista, travolta, cancella i tweet e se ne scusa attingendo al frasario classico di questi tempi, espressioni inqualificabili, atteggiamento imperdonabile e così via.
La faccenda sembra evaporare, anche perché McCammond trova il modo di traslocare nel grande mondo delle vittime. Succede che Charles Barkley, ex ala grande dei Philadelphia 76ers, dei Phoenix Suns e degli Houston Rockets, due volte oro olimpico, nel corso di un’intervista le dica “non ho mai picchiato una donna, ma se dovessi picchiarne una, picchierei te”. Barkley ha parecchi precedenti. Non gli piacciono gli arbitri donna e nemmeno il basket femminile (in questo seguito dalla stragrande maggioranza degli americani, almeno stando agli ascolti televisivi). Ma stavolta nemmeno il gigantesco ex cestista regge all’urto. Volevo essere divertente e non lo sono stato, dice, non ci sono giustificazioni, mi sono fatto strumento della dilagante cultura della misoginia a cui sono estraneo, me ne scuso profondamente eccetera eccetera.
Ma tutti hanno una seconda chance, anche Barkley, e gli si presenta sotto forma di LaVar Ball, ex campione di football, padre di tre cestisti in Nba. LaVar Ball, quanto a battute scorrette, è una specie di fabbrica, e gli capita che la giornalista Molly Qerim durante una trasmissione su Espn gli dica una cosa più o meno così: posso cambiare marcia? Avrei una domanda da farti. Cioè Molly Qerim vuole dare più ritmo all’intervista, e LaVar Ball non perde l’occasione per interpretare quel cambiare marcia in accezione, diciamo così, voluttuaria. Espn dichiara l’ospite sgradito da qui all’eternità. Barkley intanto si è ravveduto e ne dà dimostrazione, e commenta che ovunque LaVar Ball si trovi, c’è un paese a cui manca un idiota.
La catena potrebbe andare avanti all’infinito, ma dobbiamo tornare ad Alexi McCammond. E ai suoi tweet adolescenziali. In questi giorni tornano a furoreggiare, perché sì, adolescenziali, ma giustappunto sta andando a dirigere una rivista per adolescenti. I suoi sottoposti asiatici esprimono tutto il loro disagio. I social ci danno dentro. Ma Anne Wintour regge, finché Ulta Beauty, inserzionista da oltre un milione di dollari, dice che la storia più finire qui.
Ma non finisce qui per noi. Ulta Beauty è un colosso dei cosmetici, e sta faticosamente cercando di ripassarsi il trucco. Qualche anno fa la dipendente nera di una delle sue case di bellezza (credo si dica così) racconta a un giornale di essere stata umiliata da un superiore, per il quale era troppo scura per stare in sala a passare fard e mascara alle clienti. Potete immaginare. Decine di dipendenti nere di Ulta Beauty dettagliano sulle regole razziste della ditta, che reagisce in tutti i modi, fra l’altro sbarazzandosi di Laura Lee, una specie di Ferragni d’oltre oceano di cui nel frattempo erano stati diffusi tweet del 2012 che l’autrice si affretta a definire vili e disgustosi, non so come abbia potuto scriverli, non ci potrà essere perdono e bla bla. E insomma, avete capito? Sembra che Anne Wintour stia riuscendo a proteggere Alexi McCammond, e McCammond a salvarsi, quando Ulta Beauty dice eh no. Noi non possiamo fare pubblicità sul giornale diretto da una sospettata di razzismo e sessismo. È contro la nostra comprovata sensibilità egualitaria e inclusiva. E così McCammond è costretta a dimettersi.
Spero abbiate preso l’analgesico, perché noi ora scendiamo, ma intanto la giostra continua a girare.