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 2021  marzo 21 Domenica calendario

Intervista a Ronald Lauder

Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale dal giugno 2007, è nel consiglio di amministrazione di Estée Lauder Company e presidente di Clinique Laboratories. È presidente sia della Auschwitz-Birkenau Memorial Foundation, sia della Ronald S. Lauder Foundation, la cui missione è ricostruire la vita ebraica nell’Europa centrale e orientale. Nel 2001 ha aperto la Neue Galerie a New York, dedicata all’arte tedesca e austriaca, ed è il più grande collezionista al mondo di armature medievali e rinascimentali.
Lei ha molti incarichi e interessi. È stato ambasciatore degli Stati Uniti in Austria. Ha anche legami di lunga data con Israele. Si definirebbe una personalità eclettica?
«Eclettico non lo so, ma ho molte personalità. La cosa più importante oggi per me è il Congresso ebraico mondiale. C’è un enorme aumento dell’antisemitismo in molti Paesi del mondo, Italia compresa. Sono ancora coinvolto nella Neue Galerie, sono ancora un collezionista d’arte e sono ancora molto coinvolto nella Fondazione Auschwitz-Birkenau. E sono anche molto coinvolto in Israele, in particolare nel Negev, dove abbiamo un centro per l’occupazione».
Cosa è cambiato nelle aziende Estée Lauder dopo la morte dei suoi genitori, Estée e Joseph?
«L’azienda è cresciuta notevolmente: oggi è una delle principali società statunitensi, oltre che mondiali».
Sua madre, donna eccezionale, cosa le ha insegnato?
«Ho imparato tutto da lei e ho lavorato con lei per 17 anni nel settore. Mio fratello Leonard, amministratore delegato per anni e ora presidente emerito ha appena scritto un’autobiografia (The Company I Keep: My Life in Beauty) che spiega come fosse davvero un’azienda di famiglia. Fin da bambini abbiamo sentito parlare di negozi, idee e prodotti».
La sua famiglia era già impegnata nella causa ebraica o è avvenuto dopo?
«Eravamo decisamente una famiglia ebrea, ma il mio impegno si è manifestato molti anni dopo. Quando sono arrivato a Vienna come ambasciatore nel 1986 e sono rimasto profondamente colpito dalle difficoltà che stavano attraversando i bambini ebrei provenienti dall’Urss. È stato l’antisemitismo che ho visto e l’effetto che aveva sui bambini a far crescere il mio impegno».
Si è interessato agli ebrei dell’Europa orientale a causa delle sue origini, perché era a Vienna, o per l’Olocausto?
«Per tutti questi motivi. La mia famiglia proveniva dall’Impero austroungarico, Ungheria, Bassa Austria e Repubblica Ceca. Da adolescente quando pensavo all’Europa pensavo soprattutto alll’Est, ed ero affascinato dalla Cortina di ferro. Diventare ambasciatore a Vienna è stata la svolta che ha cambiato la mia vita e mi ha reso sempre più consapevole, sia delle mie origini, sia delle problematiche tra Est e Ovest. A quel tempo tutto era orientato verso l’Urss. Quando ero lì ho fatto il mio primo viaggio in Israele, quindi a 40 anni ho avuto la possibilità di vedere il Medio Oriente».
Che cos’è il Congresso ebraico mondiale?
«È un’organizzazione fondata nel 1936/7 da un gruppo di ebrei a Ginevra che capirono cosa stava per accadere nella Germania nazista. Cercarono di mettere in guardia il mondo, ma poiché avevano pochissima influenza, nessuno li ascoltò finché non fu troppo tardi. Così Nahum Goldmann ha avuto l’idea di creare un’istituzione forte che parlasse con i governi ».
Quanto è dura la lotta all’antisemitismo?
«Subito dopo la II Guerra Mondiale, quando la gente ha visto le atrocità dei nazisti, nessuno voleva essere associato a loro. Ma ormai, dopo tre generazioni, i giovani non capiscono veramente cosa è successo durante l’Olocausto. C’è qualcosa che attira molti di loro in questi movimenti antisemiti o neonazisti. Ma, anche a sinistra c’è una nuova forma di antisemitismo».
Lei è repubblicano. Era alla Wharton School of Economics con Donald Trump e lo ha sostenuto nella sua campagna. Cosa pensa del suo comportamento dopo il voto? E cosa pensa del nuovo presidente, Joe Biden?
«Come repubblicano sono sempre molto in sintonia con il mio partito, ma come presidente del Congresso ebraico mondiale è mio compito essere molto vicino a ogni presidente, e così ho fatto dai tempi di Nixon. Conosco Trump da 50 anni, ma anche Joe Biden da oltre 40 e abbiamo un ottimo rapporto. Quello che è successo al Campidoglio dopo le elezioni è stato un disastro, ma dobbiamo guardare piuttosto a quel che Trump ha fatto di buono. Ci sono cose su cui non ero d’accordo e altre sì e sono certo che con Biden sarà lo stesso».
In qualità di collezionista d’arte, è specializzato in arte tedesca e austriaca. Ha aperto la Neue Galerie a New York, è uno dei più grandi collezionisti di Egon Schiele, e ha acquistato per 135 milioni di dollari il famosissimo ritratto di Adele Bloch-Bauer di Gustav Klimt, che lei chiama "la mia Monna Lisa". Come è andata?
«Il quadro era stato rubato alla famiglia dai nazisti. Se ha visto il film The woman in gold sa quanto è stato difficile riportare il dipinto ai suoi veri proprietari: ci ho lavorato per sette anni ma è stata una grande gioia»
La sua passione per l’arte e in particolare per la Secessione viene dagli anni di Vienna?
«No, sono un collezionista nato. Ho iniziato a comprare dipinti della Secessione a 14-15 anni, quando nessuno ne aveva sentito parlare, e non ho mai smesso di comprare. Allo stesso tempo, colleziono molte altre cose. Ho acquistato la mia prima opera d’arte medievale a 19 anni e la mia prima armatura a 21. Colleziono sculture greche e romane, antichi elmi greci, oggetti del Medioevo, del Rinascimento e arte contemporanea».
Pensa che i prezzi di alcune opere di arte contemporanea siano eccessivi?
«Ogni pezzo che ho comprato nella mia vita l’ho pagato troppo. Salvo scoprire dopo tre o cinque anni di aver fatto un affare. Non si può mai dire».
Una volta finita la pandemia, qual è la prima cosa che farà?
«Salirò sul primo aereo per l’Europa». —
Traduzione di Carla Reschia