Specchio, 21 marzo 2021
Intervista ad Alessandro Gassmann
Siamo di nuovo in lockdown, e se vogliamo prenderlo con filosofia, non ci resta che bussare a casa Gassmann. In questi mesi Alessandro è impegnato nelle riprese di una miniserie per RaiUno dal titolo Un Professore, dove intrepreta un insegnante di filosofia, appunto.
Alessandro, la pandemia ha fatto di te un filosofo?
«Tra i vari difetti che ho, sono sempre stato iperaccelerato e distratto. Mentre ora sono molto più attento alle cose che mi circondano. La filosofia l’ho riscoperta durante il primo lockdown, parlandone con mio figlio Leo, che la studia all’università. Quando ci hanno chiusi in casa la prima volta, ci siamo ritrovati casualmente tutti di nuovo insieme come non accadeva da tempo, e anche grazie a mio figlio, ho avuto modo di rileggere molti filosofi».
Per esempio?
«Nietzsche. Fu accusato di essere nazista quando era esattamente il contrario. La volontà di potenza, lui la intendeva come possibilità per il singolo di mostrare il proprio valore, non come volontà di dominio sugli altri. È stato vittima di una fake news (sorride)».
Hai sempre avuto un bellissimo rapporto con tuo figlio.
«A Leo devo molto, e poi sono orgogliosissimo di lui. Qualche volta litighiamo certo, dico anche che mi snerva, però è proprio una bella persona».
Che l’anno scorso ha anche vinto il Festival di Sanremo.
«Sì, e dopo tre settimane hanno chiuso tutto. A vent’anni vinci Sanremo e poi non puoi fare neanche i concerti. Una mazzata. E tre mesi chiuso in casa con tuo padre a completare la sfiga».
Oltre alla filosofia, cos’altro ti ha portato questa pandemia?
«La poesia. Per cento mattine consecutive, durante il primo lockdown, ai miei follower interessati, ho recitato una poesia. Di poeti vari e su varie tematiche, che magari avevo studiato da ragazzo o alla scuola di teatro, e che, non dico di avere dimenticato però, essendo figlio di uno dei più grandi dicitori di poesie del secolo scorso, credo di avere sempre un po’ rifuggito, per paura di non essere all’altezza, cosa che penso tuttora».
Se tuo padre fosse ancora vivo, come pensi che avrebbe affrontato questo momento?
«Vittorio era un ipocondriaco, e sarebbe stato divertente averlo in casa in questo periodo. Anche se forse non lo sarebbe stato per lui: era uno che disinfettava le posate con il limone quando andava al ristorante».
Non ci credo.
«Certo. Quando girò quello che lui definisce il più brutto film della storia del cinema, Che c’entriamo noi con la rivoluzione?, di Sergio Corbucci, partì per il Messico. Nel cast c’era anche Paolo Villaggio. Mio padre era terrorizzato dall’idea di prendersi delle malattie. Quando, durante una scena, dovettero attraversare a nuoto il Rio Grande, lui si mise in bocca mezzo limone per paura dei germi. Risultato: Paolo Villaggio, che quotidianamente andava nelle bancarelle, toccava e mangiava qualsiasi cosa con le mani è stato benissimo, mentre mio padre si prese il famoso morbo di Montezuma. Non ti dico cosa ha fatto in quelle due settimane, praticamente era morto».
Anche tu sei ipocondriaco?
«No, io sono più fatalista. Un fatalista che però disinfetta. Faccio quello che mi viene detto di fare e in modo scrupoloso perché non voglio morire. E non vedo l’ora di essere vaccinato. L’altro giorno, scherzando con un amico, ho detto: se gli egiziani domani inventano un vaccino e lo chiamano Tutankhamon, io me lo faccio di corsa».
Con il vaccino siamo arrivati alla fine del tunnel.
«Non penso. Il vaccino è solo un’arma in più per combattere una lunghissima guerra, che non riguarda tanto la nostra generazione quanto quelle future. Questa pandemia è solo una prima avvisaglia di quello che il pianeta ci riserverà. Siamo andati ben oltre le nostre possibilità. Non siamo gli unici esseri viventi e non possiamo permetterci di mangiare, bruciare e consumare come abbiamo fatto finora».
Tu ti occupi molto di queste tematiche.
«Mi interessa la salute del pianeta e sono informato come un normale cittadino preoccupato dei cambiamenti climatici. Questa pandemia era altamente prevista. Non dico che me l’aspettavo, però non mi ha stupito più di tanto, non come il fatto che la classe politica internazionale non sia stata all’altezza della situazione. Forse per molti è arrivato il momento di fare un passo indietro, e dare spazio a chi è più giovane e ha davvero a cuore il futuro. Perché quando avevamo vent’anni noi, non vivevamo in un pianeta dove ci ripetevano continuamente che tra trent’anni non avremmo più respirato. La mia condizione di giovane uomo era molto più serena. La mia generazione è cresciuta in un mondo dove tutto sembrava andare bene, anche se sotto il tappeto si stava accumulando molta polvere».
Il Movimento Cinque Stelle sta diventando un partito verde di massa e anche il sindaco di Milano, Beppe Sala, ha lasciato il Pd per una svolta green. Cosa ne pensi?
«Come sappiamo l’Europa, dei duecento e passa miliardi che ci darà, settanta ce li dà solo se cambiamo in questo senso. Se non cambiamo, non ce li dà. E personalmente sono contento che ci sia questo aut aut. Ma se ci sono in ballo così tanti soldi, ci sono anche in ballo interessi. Io non voglio pensare male. Anzi, sono contento che il sindaco di una città come Milano abbia sentito l’impulso di una svolta del genere. Mi piacerebbe che un partito verde in Italia facesse i numeri che altri fanno in Germania, in Francia, dove non dico che dettano la mappa dei lavori, ma hanno un’influenza maggiore».
Qui in Italia c’è qualcuno che ti ispira più di altri?
«Mi piace molto Elly Schlein. Una giovane donna verde che mi sembra preparata e capace».
Ti piacerebbe entrare in politica?
«Sì, mi piacerebbe. Ma mi farebbe anche un po’ paura. Sarei curioso di capire perché la percentuale delle persone che sbagliano in politica sia così alta rispetto a quella delle persone che sbagliano nella società civile. Deve succedere qualcosa una volta che si entra lì dentro. Non so, a questo punto m’immagino una porta che si apre in una stanza dove c’è un signore che nessuno conosce, ti dà il benvenuto e ti dice: ora ti spiego come funzionano davvero le regole. Ecco, ho paura che qualcuno mi risucchi lì dentro. Ma scherzi a parte, il cambiamento ha a che fare con le nostre azioni. Certo, non sarà facile. Si perderanno molti mestieri, come del resto si sono sempre persi. Se pensiamo a quelli che accendevano le lampade a petrolio per le strade prima della scoperta dell’elettricità. Si sono dovuti adeguare. E i macellai, magari in futuro, diventeranno venditori di verdure biologiche e di altro cibo che ci sarà concesso mangiare senza nuocere al pianeta».
Anche la tecnologia sta stravolgendo tutto. Non ti fa paura?
«La tecnologia è andata talmente veloce da sfuggirci di mano. Mi spaventa certo, come anche la rete. Le stesse persone che l’hanno creata arrancano nel dare delle regole interne che consentano quantomeno una civile convivenza. Vediamo le minacce e gli insulti a Mattarella, a Liliana Segre».
Sei mai stato vittima di attacchi di questo tipo?
«Sul mio profilo c’è proprio scritto "Haters free". La mattina passo dieci minuti a bloccare tutti quelli che non sono veri, o aggressivi. Se non sono d’accordo mi interessa il loro punto di vista, ma se m’insultano li blocco in automatico. Come se fossi a casa mia. Se litighiamo, figurati sei il benvenuto, ma se sei maleducato, è ovvio che non sarai più invitato».
Secondo te, fuori dal web, torneremo a stringerci le mani o ad abbracciarci come prima?
«Non penso che si tornerà tutti ad abbracciarci come se niente fosse, e te lo dice uno che per natura è abbraccione, che tocca tutto continuamente. Mia moglie l’ho consumata a forza di abbracciarla, anche perché posso abbracciare solo lei».
Una donna invidiatissima. Com’è cambiato il vostro rapporto in questi mesi?
«È chiaro che la forza di una coppia che sta insieme da tantissimi anni come noi sta anche nel fatto che ci conosciamo. Stiamo bene insieme anche chiusi in casa. Però, certo, c’è anche la consapevolezza di essere molto dipendenti l’uno dall’altra e questo influisce sulla paura. Non voglio ammalarmi, ma soprattutto non voglio che si ammali lei. Ogni volta che vado sul set, so che corro un rischio anche per lei. Noi dobbiamo toglierci la mascherina. Però certo, ringrazio che sto lavorando. Molti miei colleghi che fanno teatro hanno già cominciato a fare altri mestieri. Purtroppo è durissima».
Che cosa ti manca del mondo di prima?
«Le uscite con gli amici. Le cene alla fine di uno spettacolo, i ristoranti. È anche vero però che il Covid ha evidenziato il fatto che sembra che non facciamo altro che mangiare e fare da mangiare. Almeno a Roma sembra solo "una cosa de magnà (ride di nuovo)"».
Che Alessandro vedi quindi nel futuro?
«L’anno scorso, già prima della pandemia, avevo maturato delle decisioni importanti. Nel terzo arco della mia vita vorrei fare solo il regista. Ho quasi finito la postproduzione di un mio film in cui non ci sono come attore (a parte un piccolo cameo) ed è stato il più bel viaggio della mia esperienza artistica finora. Poi è chiaro che, se servirà per una parte un signore con la lordosi molto alto non mi tirerò indietro, ma dovrà essere qualcosa in cui davvero credo. Ho fatto di tutto nella mia vita, anche cose di cui mi vergogno un po’».
Tipo?
«Una miniserie su Biancaneve dove facevo il principe azzurro, in calzamaglia. Una cosa terrificante. Vivo nel terrore che Marco Giallini trovi questa cosa, perché mi minaccia di continuo, dice che l’ha sempre cercata».
Non ti preoccupare, Alessandro, penso che molte donne, almeno su questo pianeta, ringrazieranno Giallini se dovesse trovarla.