Robinson, 20 marzo 2021
Sono medievali le nostre paure
Avevano paura delle malattie. Della lebbra, antica e terribile nell’immaginazione, che colpiva soprattutto i poveri. Ma ancora di più di quelle nuove e sconosciute, prive di rimedio, che colpivano anche i ricchi. Avevano paura di perdere i mezzi di sostentamento, di finire in miseria. Avevano paura delle guerre, delle invasioni. Avevano paura di perdere quel che avevano, delle catastrofi naturali, della fine del mondo. Ma prima che dell’Apocalisse avevano paura degli stranieri e dei diversi, di quelli che parlavano un’altra lingua, si vestivano in altro modo, avevano altre abitudini culinarie. È straordinario come le paure del Medioevo somiglino alle nostre.
Ne Le paure del Medioevo Chiara Frugoni le racconta e le documenta, con le fonti scritte, ovviamente, ma anche con le immagini. Come gli altri numerosi libri di questa studiosa, è un volume da leggere, ma anche da sfogliare e guardare. L’impressione che se ne ricava è che nel Medioevo non solo avevano paure simili alle nostre, ma se le raccontavano con mezzi simili ai nostri, con effetti quasi audiovisivi, con figure scolpite o dipinte, che sembrano in movimento, danzanti e gesticolanti, o addirittura parlanti, con le scritte sui cartigli che servono da spiega, anzi persino col fumetto che gli esce di bocca.
La Frugoni è una delle massime esperte di iconografie del terrore, di Danze macabre in Italia e in Europa, a partire dagli studi che ha dedicato al ciclo di Buffalmacco nel Camposanto di Pisa. Ma non c’è solo la paura della morte, che si trasforma nel corso dei secoli, o la paura delle punizioni divine nell’aldilà, poi mitigata dall’invenzione del Purgatorio. E non c’è solo la paura della fine del mondo, che in fin dei conti sarebbe la fine di tutte le paure. Ci sono le paure quotidiane, della vita di ogni giorno.
Lo spauracchio del diverso per esempio. Che tocca chi viaggia. Una specie di guida turistica del XII secolo per i pellegrini diretti dalla Gallia a Santiago de Compostela (quindi non dall’altra sponda del Mediterraneo ma praticamente dalle contrade confinanti), mette in guardia dalle terribili popolazioni che si incontreranno: i navarresi e i baschi. «Quando li guardi ingerire il cibo li prenderesti per dei cani o dei porci che mangiano; se li senti parlare penseresti a dei cani che abbaiano. I baschi sono gente piena di cattiveria, di pelle nera, di brutto aspetto… depravata, perversa, perfida, sleale, corrotta, libidinosa, amante del bere, esperta in ogni tipo di violenza, feroce, selvaggia, disonesta e falsa, empia e rozza, crudele e attaccabriga…», che insomma «somiglia a i Saraceni per la sua cattiveria».
Il Medioevo, questo si sa, ce l’ha con i musulmani. Ma più ancora con gli ebrei, i diversi in casa, i vicini della porta accanto. Espulsi, marchiati con una rotella cucita sulla veste (ben prima della stella gialla), perseguitati, bruciati, donne e bambini compresi, sulla base di leggende e dicerie, fake news insomma (tra le riproduzioni più impressionanti, dense di carica emotiva e “attuali” nel libro, i particolari della leggenda dell’ostia profanata dipinta nel 1468 da Paolo Uccello, figura di tutti i pogrom contro gli “stranieri”, in ogni epoca).
Non è neanche questione di diversità di etnia, o di religione. Il diverso è tale perché mangia diversamente. Il vescovo Liutprando di Cremona, inviato presso l’imperatore bizantino Niceforo II Foca, viene trattato male. Si vendica tracciandone un ritratto poco lusinghiero. L’imperatore «porta i capelli lunghi, è abbigliato lussuosamente, è effeminato, bugiardo, spietato, astuto come una volpa, falsamente umile, avaro». Peggio: «è un mangiatore di aglio, cipolla, e porri, un bevitore di acque termali». Il re dei Franchi invece è un vero uomo, un mangiatore di carni, non una femminuccia vegetariana, «non si ciba mai di aglio, cipolle porri», beve vino, non acqua. Il Medioevo in Occidente è carnivoro. Talvolta (e non solo nelle favole) anche cannibale.
«Teniamo strette al petto tutte le paure medievali. Cosa potrebbe sciogliere questi lacci? Ragionare. Ma per questo occorrerebbe scacciare l’ignoranza e conquistare l’istruzione, un oggetto del desiderio, per molti, desueto», commenta la Frugoni. Vero, ma forse troppo pessimista. Non è scontato che debbano prevalere le antiche paure. Ci si sarebbe potuti aspettare che con il Covid rispuntassero, impazzassero, le fake news, l’ignoranza, le superstizioni, la ricerca del capro espiatorio, i pogrom, il linciaggio del presunto colpevole che avevano accompagnato la peste e tutte le grandi epidemie. In conclusione del libro Chiara Frugoni cita un cantautore contemporaneo, Vinicio Capossela che nel 2019, quindi prima del Covid, aveva pubblicato un album intitolato Ballate di uomini e bestie. Comprende una canzone che ha per titolo La peste. «È arrivata prima che cadessero nazioni. Corre nella rete, è sangue, è orgia, è fornicazione. Individualista e collettiva infetta di rabbia e di saliva, attacca dentro il discernimento … fake news …/ La peste, la peste. Non la si vuol vedere la peste, la peste non sapere la peste, la peste. Meglio il simulacro, il capro, il capro, un nemico semplice, un untore, /che venga da fuori, che faccia malodore… un nemico per sentirti unito, unito nella peste». In effetti tutto questo è rispuntato. Ma la novità è che stavolta non è andata così. Di fronte alla paura della pandemia sembrano prevalere invece ragione e solidarietà. Più che la paura dello straniero poté la paura del Covid, viene da dire.