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 2021  marzo 20 Sabato calendario

Intervista a Rutger Bregman

Ha terminato il suo ultimo libro così: «Le cose più belle della vita tornano a noi, moltiplicate, solo se le doniamo: fiducia, amicizia, pace». Rutger Bregman, autore di Una nuova storia (non cinica) dell’umanità (pubblicato da Feltrinelli), è quindi un interlocutore ideale per immaginare come tornerà a noi la vita dopo la pandemia e la forzata messa in pausa. Gli tocca il ruolo di anti-avvocato del diavolo, di sostenitore, se non del lieto fine, della sua possibilità.
Se la sente?
«Posso provare. In fondo dovrei solo riaffermare cose che ho già scritto. Non è vero che, sotto la superficie, l’umanità sia profondamente egoista. La pandemia non è stata che l’ennesima dimostrazione. All’inizio ci aspettavamo orde fameliche, assalti e saccheggi: c’è stata solo qualche razzia di carta igienica. La maggior parte delle persone si è comportata bene, ha resistito, ha cooperato. Ha rinunciato al proprio stile di vita per migliorare la situazione collettiva».
Non se l’aspettava? Proprio lei che crede nell’umanità?
«In realtà non mi sono sorpreso. So che la gente è ragionevole. Nei film di Hollywood quando accade un disastro impazziscono tutti, tranne due che salvano il mondo. Qui è accaduto il contrario.
Semmai il problema è che i media hanno dato più attenzione a quei due. Si parla molto di chi non rispetta i divieti e si trascurano gli altri novantotto.
Qui in Olanda gli hooligans del calcio pattugliavano le strade per garantire la legalità. Nelle situazioni limite le persone si alleano. Poi, certo, ci sono le eccezioni».
Molto spesso stanno al vertice. Com’è possibile che i leader siano peggiori delle masse?
«Perché chi sta al potere ha perso il pudore, la capacità di arrossire, l’umiltà. Fa cose che gli altri non oserebbero fare più. Non cambia il proprio pensiero né il proprio atteggiamento, spacciando per coerenza quel che in realtà è puro egotismo. Se a febbraio del 2020 potevi ancora dire che la situazione non era grave, a marzo non potevi non correggerti. Chi non lo ha fatto valutava più se stesso che la verità o il proprio popolo. È successo negli Usa e in Brasile, soprattutto. Meglio, molto meglio, il Nord Europa».
Non mi dica perché i premier erano e sono donne.
«No, perché quelle sono società diverse, più empatiche e aperte. Per questo eleggono donne. Il genere è l’effetto, non la causa».
Vede la luce in fondo al tunnel?
«All’inizio ero tra i pessimisti, pensavo che la crisi sarebbe durata molto a lungo, che per i vaccini, visti gli esempi passati, sarebbe occorso tempo. Invece, dodici mesi dopo, siamo qui a iniettarli. Il 2020 è stato il trionfo della scienza».
E adesso, poveri uomini?
«Distinguiamo le situazioni di breve e lungo periodo. Nel breve la situazione è ancora pericolosa, il virus è ovunque, la gente è stressata, la solitudine è una seconda forma di epidemia per i più giovani e i più vecchi, nessuno è ancora al sicuro, ma le cose si sono mosse. Nel lungo periodo invece la prospettiva è eccitante».
Addirittura?
«I millennials e poi i loro successori, quelli della generazione Z, rappresentano un’evoluzione della specie. Sono più acculturati, avvertiti e progressisti di chi li ha preceduti. Cose come la contrapposizione tra capitalismo e marxismo o la fine della storia non fanno parte del loro bagaglio. Non sono manicheisti, sono aperti alle idee nuove. Ciò che dieci anni fa veniva scartato, da due anni è al centro del tavolo.
Non sono io, ma un giornale dell’élite come il Financial Times ad aver scritto che la politica degli ultimi quarant’anni sta per essere, in parte è già stata, rovesciata. È finito il neoliberismo. Più speranza. Meno individualismo. Nuovi leader generazionali».
Mi faccia capire Joe Biden, allora.
«Biden è giovane di spirito. Flessibile. Sente lo spirito dei tempi e lo insegue. Sul clima il suo progetto è più radicale di quello di Sanders».
Anche ammesso, altrove non si vedono giovani leoni.
«Al di là degli uomini, o delle donne, guardi alle idee. Si parla meno di cose come il deficit, l’austerità, i tagli e più dell’ambiente. Sento conservatori dire che bisogna investire per crescere. I partiti di sinistra sono in crisi, ma quelli di destra si intestano le loro battaglie».
Win-win situation? Si vince comunque?
«Vedo una svolta per il meglio. Non dirò mai che il Covid sia stato un propulsore, è stata una tragedia.
Ma le crisi accelerano i processi virtuosi».
Mi dia esempi pratici che aiutino a credere a questa evoluzione, per favore.
«Le liste. Quelle dei lavoratori ritenuti essenziali a cui praticare per primi la vaccinazione. Non ci sono gestori di hedge fund, amministratori delegati, avvocati societari. Ci sono medici, infermieri, insegnanti, operatori pubblici. È una scelta di valori, che resterà, sarà guardata da qui a qualche anno da chi dovrà scegliersi una vita e una carriera. Dirà: davvero voglio fare soldi per vent’anni poi perdere tutto, deprimermi e finire a fare le consegne? Non è meglio un lavoro con meno reddito e più riconoscimento?».
Intanto ci prendiamo meno reddito, poi aspettiamo più riconoscimento. Ma che cosa intende per lungo periodo, tanto per saperci regolare?
«Gli storici sono pessimi nel fare previsioni.
Sbagliamo anche quelle sul passato, figurarsi il futuro. Il tempo è essenziale, ma ancor più contano la disponibilità e la consapevolezza. Esiste questo progetto per dimezzare le emissioni nel 2030 e ridurle a zero nel 2050. Ottimo. Ma abbiamo capito quanti sacrifici serviranno? Dicono: li si è fatti in tempo di guerra. Appunto. Come fosse facile.
Hanno studiato come fu possibile? L’aliquota fiscale saliva fino all’ottanta per cento per i redditi più alti, i governi si arrogavano poteri straordinari, le libertà erano limitate, certi prodotti contingentati, chi non rispettava le regole finiva in galera. Siamo pronti?».
Se non lo siamo ora, quando?
«È giusto, ma tutti hanno capito? La pandemia ha dimostrato che la storia non è finita. Ma il riscaldamento globale è una pandemia al rallentatore. Quando esploderà farà danni ancora peggiori. Può esserci un caso di rottura. Vuole che lo preveda? Accadrà in India, fra una decina d’anni.
Una tremenda ondata di caldo, letale. A quel punto scoppierà la rabbia. Le nazioni reagiranno per conto proprio, cercando di accelerare i tempi perrispondere al crash».
Scusi la domanda personale: ha figli?
«Non ancora, ma sto per».
In Italia improvvisamente ci si preoccupa di quale Paese consegnare ai figli. Lei è preoccupato?
«Io sono privilegiato, sono olandese. Ma non troppo preoccupato, se lo fossimo tutti ci estingueremmo. Invece si va avanti. E ho speranza. La speranza dev’essere un atteggiamento attivo. Si tratta di vedere una possibilità e di agire. Il contrario del cinismo che non si concede possibilità come alibi per la propria pigrizia».
Lei ha scritto questa storia non cinica dell’umanità. L’ho consigliata a molti. A tutti è piaciuta, ma i più hanno aggiunto: sì, però non ci credo. Una specie di scissione tra sentimento e ragione. Crede possa accadere anche per questa sua visione di quel che succederà?
«Io sono cambiato scrivendo quel libro. Forse ho avuto una grande pretesa, riscrivendo una nuova storia dell’umanità. Ma qualcuno doveva farlo.
Era nell’aria. Come ora lo è che stia per succedere un grande cambiamento. Molti lettori si sono fatti domande leggendo quel libro. Ora se le fanno tutti: che cosa accadrà? Dico solo questo: se confidi nella natura umana già solo per questo la migliori».