la Repubblica, 20 marzo 2021
I gemelli stilisti di Ibrahimovic
Un’icona si schiera per ciò in cui crede, agisce e fa la differenza, guadagnandosi un posto nella storia. Ibra è così: è una gran brava persona, e uno dei più grandi atleti di sempre». A giudicare dall’entusiasmo con cui i gemelli Dean e Dan Caten spiegano perché Zlatan Ibrahimovi? sia perfetto per rappresentare Icon, la nuova linea del loro DSquared2, il rapporto che li lega al calciatore non sembra solo un’operazione di marketing. «Per niente. Lo conosciamo da quando era un ragazzo: un giorno ci chiama sua moglie Helena, che ci spiega che Ibra adorava le nostre collezioni, ma che non trovava quasi mai nulla della sua taglia. Noi allora gli prepariamo un po’ di pezzi, e lo invitiamo a provarli: lui arriva in showroom, si guarda attorno e sbotta “Tutto qui? Ci sono più cose vostre nel mio armadio che in questa stanza”. Per un attimo ci ha lasciato di sasso, ma poi ci siamo riorganizzati». I gemelli Caten ridono ripensando a quel primo incontro, evolutosi poi in un rapporto così saldo – anche al recente Festival di Sanremo Ibra è stato vestito da loro – che diversi pezzi della linea Icon sono decorati con la frase di uno dei tatuaggi del calciatore: “Only God can judge me”, “Solo Dio può giudicarmi”. Quando si dice credere nel progetto.
Inoltre, la loro amicizia ha avuto pure conseguenze inaspettate. «È stato grazie a Ibra se nel 2006 abbiamo iniziato a vestire la Juventus: lui all’epoca giocava lì, e ci propose di curare il guardaroba ufficiale della squadra. Non avevamo mai fatto nulla del genere, ma lui era sicuro che fossimo quelli giusti. E aveva ragione: ha funzionato così bene che abbiamo continuato per quattro anni. Poi siamo passati al Barcellona, e da lì al Manchester City, con cui collaboriamo ancora oggi».
Se lo sportswear è una delle voci economicamente più rilevanti per chi fa moda, riuscire a vestire gli atleti professionisti non è una passeggiata. «Nel nostro ambiente gli sportivi sono considerati persone difficili, poco interessate alla materia. Dei prepotenti. Per esempio, quando nel 2017 negli Stati Uniti abbiamo lanciato una collaborazione con Dwyane Wade, una leggenda del basket NBA, molti ci dicevano di lasciar perdere, che sarebbe stato solo un problema dopo l’altro. Ebbene, Dwyane è una delle persone più gentili e con il miglior senso dello stile che abbiamo mai incontrato. Quanti preconcetti inutili».
I Caten credono talmente tanto in quello che dicono da essersi spinti ancora oltre, disegnando le divise della loro squadra olimpica, quella canadese, per i Giochi di Rio 2016. «Alle Olimpiadi invernali di Vancouver, nel 2010, avevamo vestito i performer alle cerimonie di apertura e chiusura, e in quell’occasione avevamo pure fatto i tedofori. Un’esperienza unica, ma quanto diamine pesava la torcia! Dopodiché ci è stato proposto di creare le divise per Rio 2016. Il team Canada è stato eletto il meglio vestito alla cerimonia d’apertura dei Giochi: non era mai successo. Per noi è stato come vincere una medaglia d’oro: è il nostro Paese, era una questione d’onore! Anche qui, non è mica stato uno scherzo: abbiamo dovuto vestire centinaia di atleti con fisici completamente diversi, dalle ginnaste ai lanciatori del peso, e far sì che l’uniforme stesse bene a tutti. Ci siamo presi un bel rischio, ma è stato bello esserci in un momento così importante».
Va pure detto che lo sportswear è sempre stato parte del loro universo, a prescindere da simili occasioni. «Nelle nostre collezioni c’è sempre stato un rimando a quel mondo: una maglietta da calcio, un giubbotto da corsa di nylon sotto una giacca, le tute riadattate per ogni giorno. Certi elementi sono parte dello stile contemporaneo, quindi inevitabili per chi fa moda». Per loro però, ci tengono ad aggiungere, lo sport non è solo una T-shirt ben piazzata. «Soddisfa la necessità di “essere parte” di qualcosa che tanti sentono, e che altrimenti li spingerebbe verso situazioni ben più rischiose. Lo abbiamo provato sulla nostra pelle: la disciplina che ci dà lo sport oggi ci permette di concentrarci e funzionare al meglio. Anche questo ce lo ha insegnato Ibra: ha quasi 40 anni, e non è mai stato così in forma. Non è che siamo al suo livello, ma è il principio che conta».