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 2021  marzo 20 Sabato calendario

Domande e risposte sulla crisi del calcio italiano

1 Come siamo riusciti a scomparire dal grande calcio europeo?
Dieci anni fa l’Inter era di Moratti e il Milan di Berlusconi. Erano al bar sotto casa, li potevi incontrare prendendo un caffè. Oggi parliamo tra noi, discutiamo su opinioni che non hanno più importanza, sono solo una forma di social. Le proprietà non esistono, ormai sono entità astratte. Nessuno rende davvero conto a nessuno. Sapremo mai la vera storia della vendita del Milan? Sappiamo adesso cosa stia davvero succedendo all’Inter? I mecenati spendevano per affermare se stessi, gli imprenditori mettono soldi per riaverne. Questo ha rovesciato il rapporto, ha reso normale finanziarsi con le cessioni. Il problema finanziario applicato a un’industria con produttività incerta ha portato a un calo progressivo nella qualità degli acquisti. Da anni il traguardo del nuovo calcio è diventato arrivare quarti. Non si costruiscono squadre per vincere, ma per andare in Champions. Eppure il quarto posto è sempre una sconfitta, non porta nessuna medaglia in nessuno sport. Ma vincere ha un prezzo troppo alto per noi. Alla base dei dieci anni di dominio Juve c’è questa rinuncia, questa povertà di tutti gli altri. 

2 Ma la gente è stanca di sentir parlare di bilanci 
Si, lo so, la realtà è noiosa, ma anche un sogno campato in aria è poca cosa. Oggi nei bilanci della serie A ci sono 700 milioni di plusvalenze, cioè valutazioni arbitrarie di patrimonio. Il debito complessivo è di quattro miliardi, ma per sognare tutto continua come prima. Leggo che l’Inter cerca giocatori, il Milan anche purché in prestito. La Juve pesa sul patrimonio Exor per 0.8 miliardi, dieci volte meno della Ferrari. Ma ha cinquecento milioni di debiti e ha perso 170 milioni nella gestione degli ultimi diciotto mesi. È normale? E parlo dell’unica società davvero organizzata. 

3 Solo un problema di soldi, non è una soluzione troppo facile per spiegare quello che succede al nostro calcio? 
I soldi sono l’inizio della soluzione, ma da soli non sono sufficienti. In Europa i grandi ricchi sono una quindicina, solo uno-due vincono. Gli altri perdono di conseguenza. Ma senza soldi non si comincia nemmeno. Prima dello sceicco il Paris Saint Germain aveva vinto un solo scudetto. Il City due in cento anni. Il Milan di Berlusconi ha vinto dovunque per venti anni, senza i soldi di Berlusconi deve ancora tornare in Champions. Questo alzarsi del prezzo d’ingresso ha ridimensionato anche l’importanza delle grandi società di provincia, Bologna, Genova, Firenze, lo stesso Torino, Palermo, Bari, piazze anche più vaste del City ma senza sceicco. 

4 Si può rimediare? 
Prima di tutto Milano deve tornare al centro del business. Parlo come città, come centro industriale del calcio. È stata in buona parte la sua mancanza in questi dieci anni a impoverire il calcio italiano di investimenti e risultati. Nessuno ha saputo prenderne il posto né come luogo tecnico, quindi capacità di creare competizione, né come finanza per gli altri. La Juve è rimasta sola, bravissima la Juve, ma senza gara il prodotto è via via sceso, la stessa Juventus è rimasta danneggiata dal suo vuoto. Milano vale gli stessi scudetti della Juventus con successi europei decisamente superiori. È una ricchezza che non usiamo più da troppo tempo. 

5 Soluzioni immediate e dirette? Tra due mesi il calcio ricomincia… 
Dobbiamo eliminare un centinaio di persone dal mercato, arrivare alla massima semplicità di trattative, possibilmente tra proprietari, senza l’interminabile, costosissima e poco chiara burocrazia delle mediazioni. Tendere a eliminare i soldi, perché non ci sono. Faccio un esempio virtuale: alla Juve piace Kane? Offra Dybala e Alex Sandro. Lo so che non è semplice, ma questo calcio non c’è più, vive per il bisogno che ne ha la gente. Cioè è un mito, è Achille, non qualcuno che esiste davvero. Poi bisogna chiedere conto a Coverciano della qualità attuale dei nostri allenatori, se siano giusti i criteri di iscrizione (solo ex giocatori), se sia giusta la durata del corso, se siano moderne le materie e adeguati i docenti. Bisogna rivedere subito anche il senso dei settori giovanili. Oggi un ragazzo diventa professionista a 18 anni. La sua società gli fa un contratto di quattro anni. Quando ne ha 22 ed è finalmente un buon professionista, se ne va a guadagnare di più da un’altra parte, spesso gratis. Non può continuare così.