Corriere della Sera, 20 marzo 2021
Il rasoio della Giustizia
La sera in cui il poliziotto Nino Agostino fu ammazzato per strada con la moglie incinta, Vincenzo decise che non si sarebbe più tagliato la barba fino a quando un tribunale di questo Stato non avesse punito chi gli aveva ucciso il figlio, la nuora e il nipotino. Era il 5 agosto 1989. Per trentadue anni la barba di papà Vincenzo è cresciuta giorno dopo giorno, depistaggio dopo depistaggio (si ipotizzò persino una risibile pista passionale) e strage dopo strage: ai funerali di Nino c’erano tutti i futuri caduti, da Falcone a Borsellino. Intanto la barba di Vincenzo cresceva e, crescendo, si imbiancava. Diventava un simbolo: la misurazione lampante della lentezza e delle opacità di un sistema. Andando anche oltre la mafia e i segreti di Stato, quella foresta di peli ha finito per rappresentare idealmente tutti gli italiani in attesa di giustizia: penale, civile, amministrativa. Se ciascuno di loro (e ci limitiamo ai maschi) si fosse fatto crescere la barba dal giorno in cui era precipitato nel labirinto dei tribunali e dei misteri, adesso il nostro sarebbe il Paese dei barbudos.
Venerdì, Festa del Papà, è arrivata la prima sentenza. Ergastolo per un mafioso, Nino Madonia, e rinvio a giudizio per altri due. Vincenzo era lì, ma dopo non è andato dal barbiere. Ha detto che lo farà solo quando tutti avranno pagato e ogni cosa sarà finalmente illuminata. Non saprei dire se in lui mi emoziona di più la costanza o l’ottimismo.