Tuttolibri, 20 marzo 2021
Il diario dell’esorcismo su Veronica Hamerani
Una donna romana, di nome Veronica Hamerani, è al centro di questo nuovo libro di Fernanda Alfieri. Siamo all’interno di una camera, come già nel suo precedente lavoro sulle istruzioni gesuitiche per gli sposi. Ma qui a Veronica non fa compagnia un marito: accanto a lei, dentro di lei c’è il diavolo. O almeno così sospettano i familiari e gli esorcisti che si avvicendano in quella camera. Il verbale degli esorcismi praticati su di lei da più persone tra il 1834 e il 1835 è la fonte che scandisce i capitoli del racconto.
L’autrice, presente col suo io fin dalle prime pagine, lo colora di sensazioni e sentimenti personali ricordando al lettore che non vige più per gli storici il divieto del moi haïssable. Come sappiamo, lo ha infranto lo storico francese Ivan Jablonka quando in un suo manifesto di qualche anno fa ha invitato a superare la divisione fra lo stile impersonale delle scienze sociali e quello soggettivo del romanziere. La sua proposta ha avuto successo. C’è un bisogno diffuso di partecipazione emotiva ai sentimenti e alle esperienze dei senza voce, degli esclusi dalla storia, come ad esempio i martiri della Shoah o le tante donne del lungo passato . E così con la proposta di Jablonka si è aperta una nuova puntata del contrasto registrato già nell’800 da Ernest Renan tra la storia tedesca come scienza e quella come arte cara ai francesi.
Di fatto, Fernanda Alfieri ha immesso sensazioni e impressioni personali nel racconto storico, entrandovi di riflesso, come attraverso uno specchio. La sua posizione fa pensare infatti a quello specchio che permise a Velázquez di figurare nell’ambiente delle sue meninas. Questa è comunque la soluzione al problema iniziale del suo lavoro, se fare di Veronica la protagonista di un romanzo o farla entrare «nella cittadella fortificata della storia ricostruita». Una volta scelta la seconda opzione, in quella cittadella hanno trovato accesso insieme a Veronica una gran quantità di persone: la famiglia Hamerani, la gente del quartiere coi loro mestieri, la Roma della Restaurazione e tutti gli uomini coinvolti nella vicenda della sospetta possessione diabolica. Sono specialmente gli esorcisti e i loro aiutanti e verbalizzatori che, entrando nella camera di Veronica, vi hanno portato il loro passato di esperienze: gli studi, le scelte religiose, i viaggi e le carriere. Un passato che la ricerca di Fernanda Alfieri ha puntualmente ricomposto, immergendo il suo lettore nell’orizzonte scientifico e religioso dell’epoca quale affiora nei dubbi, talvolta tormentosi, degli esorcisti se i fenomeni che vedono siano effetto di possessione demoniaca o finzioni.
Scorrendo il racconto dei viaggi e delle esperienze di ricerca di Fernanda Alfieri per ricostruire quelle vite ci si rende conto della differenza tra lo spazio occupato dalle tracce storiche di Veronica e quello delle testimonianze lasciate da coloro che attraversarono la sua esistenza.
Di Veronica oltre ai dati anagrafici le poche parole che ci sono rimaste sono quelle registrate nel verbale. È solo grazie al sospetto della possessione diabolica che la scrittura entra in quella camera. Il suo caso fa pensare a quella folla di analfabeti e di donne che prima di lei aveva lasciato tracce nei verbali del tribunale ecclesiastico dell’Inquisizione. Anche Veronica, come loro, deve sottostare a quella prova perché è sospettata della stessa colpa delle streghe, un patto col demonio . Erano diaboliche le voci che uscivano da lei, così diverse dal suo parlare abituale? O erano finzioni, recitate per attirare l’attenzione? O ancora, c’era forse stata un’esperienza grave e dolorosa che aveva scatenato attacchi isterici? Qui sono chiamati a pronunziarsi gli esorcisti, figli della risorta Compagnia di Gesù. Seguendo i percorsi di ciascuno dei protagonisti delle «esorcisazioni» Fernanda Alfieri cerca nel loro vissuto le ragioni e le esperienze che li avevano condotti a scegliere la professione religiosa.
Ma quella folla di vite di persone che hanno incrociato l’esistenza dell’umile donna romana fa venire in mente un modello letterario che forse ha influenzato l’autrice. Sembra quasi al lettore di trovarsi immerso nelle ultime pagine del «tempo ritrovato» di Proust, là dove il narratore ripercorrendo il filo della propria vita scopre come quel filo abbia collegato tante altre esistenze alla sua. È un fatto che nella narrazione della vicenda di Veronica ci si propone qualcosa di simile: la sua esistenza è il punto in cui si intrecciano tanti altri fili. E in questa storia non manca nemmeno l’irruzione di una proustiana memoria involontaria: sono stati quei verbali materializzatisi quasi miracolosamente sul tavolo di lavoro di Fernanda Alfieri che l’hanno condotta e quasi costretta a ridare voce e presenza storica e umana a Veronica facendo risorgere il vivente profumo del passato.
Appena i verbali si interrompono, storia e vita si separano e di Veronica e del suo diavolo non si saprà altro. Quanto ai sentimenti dell’autrice maturati nel rapporto intenso col personaggio tornato a vivere per opera sua, li testimonierà il fiore da lei posato su di una negletta tomba romana.