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 2021  marzo 20 Sabato calendario

La seduta spiritica che svelò la prigione di Moro

È un dettaglio ricorrente nelle altrettanto ricorrenti ricostruzioni del caso in questione. Il 2 aprile del 1978 un gruppo di amici seduti attorno allo stesso tavolo «evocarono gli spiriti affinché indicassero dove si trovava Aldo Moro, rapito pochi giorni prima». Gli amici in questione sono accademici e notabili, evidentemente convinti che ci si debba - di fronte a un mistero - affidare fino in fondo al Mistero. Ho sempre trovato, per quel poco che ne sapevo, grottesca se non imbarazzante l’immagine di questa seduta spiritica che un giornalista, Antonio Iovane, ricostruisce con tinte opportunamente romanzesche. Il libro si intitola appunto La seduta spiritica; evoca in apertura L’Affaire Moro, e il suo autore - l’illuminista Sciascia - piuttosto scettico di fronte a un rito tanto superstizioso e «irragionevole». Si resta, come lui, sbalorditi di fronte alla ricostruzione dei passaggi istituzionali che portano al coinvolgimento di un sensitivo nei giorni del sequestro Moro: «un tentativo - si leggeva sulla Stampa del 25 marzo 1978 - che trasuda disperazione, impotenza, sconvolgimento». E non so se questi o più straniati sostantivi vadano pescati di fronte alla scena madre: una cucina, un tavolino quadrato, un foglio al centro con numeri e lettere, la parola «sì» e la parola «no». Un piattino da caffè capovolto. Domanda: l’onorevole Moro è vivo? Il piattino si ferma sul sì. Romano Prodi, che è seduto a quel tavolo, resta perplesso. Eppure sembra che nessuno abbia mosso il piattino. Così, la seduta procede, vengono interrogati gli spiriti di don Sturzo e di La Pira - e l’autore si inabissa in questo corridoio di realtà e surrealtà, di cronaca che assume imprevedibilmente tinte oniriche, attingendo ai faldoni delle commissioni parlamentari d’inchiesta, a testimonianze, dichiarazioni e contro-dichiarazioni, ritagli di giornale. Anatomizza così, da una prospettiva eccentrica, gli istanti di quella primavera raggelante: e diventa un grande romanzo fantasy dal vero, con Cossiga che si rigira fra le mani le lettere di Moro, con Andreotti che - al solito - glissa, con il drappello di accademici spiritisti che aspettano un segno dall’alto (o dal basso). E la misteriosa pista che porta a via Gradoli, Roma, indirizzo del covo Br emerso dalla famigerata seduta spiritica. «Mi hanno detto che a Bologna si è fatta una seduta spiritica e si è fatto il nome di Gradoli; la risposta del medium è stata Gradoli, Moro si trova a Gradoli sulla Cassia», raccontò Paolo Prodi, il fratello di Romano, a Giovanni Galloni, allora vicesegretario della Dc. Ma la verità è lontana, dice Iovane, e sottolinea che tutti i professori presenti alla seduta «hanno scelto il silenzio, sottraendosi a qualsiasi domanda sul tema».
Oltretutto, quando la parola «Gradoli» irrompe nelle indagini sul luogo del sequestro Moro, c’è chi suppone possa trattarsi di un paesino nel viterbese. Setacciato, senza fortuna, casa per casa. «Mi sono convinto - conclude Iovane - che l’informazione "Gradoli", unita a Viterbo, Bolsena, non avesse lo scopo di allarmare la polizia, ma le stesse Brigate Rosse. Chi non ne sa nulla, infatti, da quegli indizi non può che pensare al paesino in provincia di Viterbo e sopra il lago di Bolsena. (…) Ma un brigatista che conosce il covo - per esempio Mario Moretti - decifra solo e unicamente la parola Gradoli collegandola alla strada».
Si legge La seduta spiritica con stupore indignato, perché rinnova l’eterno sconcerto di fronte ai «misteri» italiani e soprattutto alla loro durata. Alle verità negate, ai depistaggi, ai silenzi, alle archiviazioni di comodo, alle ambigue deposizioni - nelle aule di giustizia come davanti all’opinione pubblica - di protagonisti e testimoni. Fra inchiesta giornalistica (con parecchie telefonate interrotte, già nelle premesse o sul più bello, dagli interlocutori), storiografia emotiva, lampi di memoir, Iovane aggiunge all’affaire Moro il tassello del soprannaturale. Che in verità si rivela molto terrestre, molto umano. Troppo umano.