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 2021  marzo 20 Sabato calendario

Intervista a S. J. Bennet

Nella sua vita S. J. Bennet ha fatto di tutto prima di potersi finalmente definire «scrittrice», qualifica a cui tiene molto. Infanzia nello Yorkshire, da bambina voleva diventare hostess, ginnasta olimpica, drammaturga o grande stilista. Poi, come figlia di un militare di carriera, ha iniziato a girare il mondo. Una vita all’insegna dei cambiamenti, anche in seguito: guida turistica, venditrice di orecchini, lobbista e consulente aziendale in McKinsey. Con in testa sempre il solito sogno: diventare scrittrice. Ed eccoci al 1997, l’anno della svolta, quando legge la favola bella della Rowling (la ragazza madre povera che fa il botto con Harry Potter) e prende il coraggio a due mani: lascia il lavoro per passare sei mesi a scrivere. Ma la favola non ha ancora un lieto fine. Lei ancora non lo sa, ma la aspettano dieci anni di rifiuti. Poi nel 2008, la svolta vera: Barry Cunningham, l’editore che aveva per primo scoperto la Rowling e che nel frattempo aveva fondato la sua piccola casa editrice Chicken House, le dà 10mila sterline per un libro per bambini. Da allora ce ne sono stati un’altra decina e finalmente siamo al suo primo giallo, Il nodo Windsor, sua maestà la regina indaga, il punto di arrivo che Sophia Bennett ha sempre mirato, fin dall’inizio.
Perché ha scelto la regina come personaggio di un libro di fiction?
«Perché la regina mi ha intrigato da quando a 11 anni mi hanno regalato un libro sui suoi vestiti. L’ho sempre ammirata perché a differenza di quello che molti pensano, il suo è un lavoro durissimo e non so come abbia fatto a rimanere sana di mente con la pressione che ha avuto addosso. È complicato essere lei».
I giornali inglesi la definiscono "royal watcher", osservatrice reale. Cosa significa?
«Che conosco molto bene ciò che riguarda la famiglia reale e la regina. A un certo punto, ventenne, ho addirittura fatto domanda per diventare una delle sue assistenti personali. Avrei organizzato i viaggi, le visite internazionali, le apparizioni in pubblico, le inaugurazioni. Ho superato i colloqui, poi hanno scelto una quarantenne. Ero decisamente troppo giovane».
Cosa pensa dell’intervista di Harry e Meghan con Oprah Winfrey?
«Che sia una cosa molto dolorosa per entrambe le parti, per i due fuggitivi e per la famiglia reale. Non è la prima crisi. Ci sono già passati con l’abdicazione di Edoardo VIII; con il matrimonio contestato della principessa Margaret; con la morte di lady Diana, quando la regina fu criticata per non essere subito tornata dalla Scozia».
Questa volta c’è una grave accusa di razzismo. Nel suo romanzo Rozie Oshodi, l’assistente personale che indaga per conto della regina, è di colore. Era una crisi nell’aria?
«I giornali inglesi hanno trattato Meghan in un modo indecente, l’hanno letteralmente bullizzata. Lei ha fatto bene a denunciare questo clima. Ha dato voce a un sacco di persone di colore. E ha costretto la Corona a rispondere, cosa che non fa mai».
Crede che sia un grave danno per la Corona?
«Finora ho visto solo una esasperazione delle posizioni. Chi era per Meghan e Harry lo è di più, idem dall’altra parte. Io non parteggio, ma capisco entrambi».
La regina è un’icona dell’immaginario contemporaneo. Anche i più ferventi democratici e nemici della monarchia devono ammettere che è uno dei personaggi più formidabili dell’ultimo secolo. Ha visto "The Crown", cosa ne pensa?
«L’idea di questa serie di gialli con protagonista la regina mi è venuta proprio da The Crown. Stavo guidando verso un ritiro letterario per lavorare a un romanzo poliziesco, quando mi è venuto in mente un episodio della serie in cui la regina prende un soldatino dal plastico di un campo di battaglia e lo rimette al posto sbagliato. Ho pensato: lei non lo farebbe mai. Primo perché avrebbe riconosciuto la battaglia. E poi perché è maleducazione toccare i soldatini degli altri».
E lei come fa a dirlo?
«Lo so perché mio padre l’ha incontrata varie volte e mi raccontava che era impressionato dalla sua conoscenza della storia militare. È una persona molto attenta ai dettagli. Nessuno come lei, eccetto il Papa forse, ha visto così tante cose da un punto di vista così privilegiato. È come un detective, ho pensato. Così è nata l’idea».
Come ha mischiato fiction e realtà?
«È un giallo, quindi è fiction. Ma tutti i particolari sono il più accurati possibile, quindi è anche realtà. La vita pubblica della regina è consultabile su The Court Circular e io l’ho fatto. Non sono una biografa, ma ho incastrato i suoi veri appuntamenti con la narrazione, in una sorta di puzzle».
Questo è il primo libro di una serie?
«Sì. Il secondo uscirà in novembre. E ho in mente di scriverne venti».
Venti?
«Si andrà avanti e indietro nel tempo e saranno ambientati un po’ ovunque, perché la regina ha viaggiato molto. Parigi, la Virginia, durante un ricevimento sul Royal Yacht Britannia ancorato a Hong Kong. Mio padre è stato di stanza a Hong Kong negli anni Ottanta e fu invitato con mia madre sul Britannia. Ho racconti di prima mano…».
Alla media di un libro l’anno, è a posto per il resto della vita… Eppure, gli inizi non sono stati così lisci. Per dieci anni ha ricevuto solo rifiuti.
«A ogni rifiuto ho capito che una volta il ritmo era sbagliato, un’altra i personaggi non funzionavano. Ho provato e riprovato. Poi è nata mia figlia e ho iniziato a scrivere storie per bambini. E ho partecipato a quella competition letteraria per caso, non avrei mai pensato di vincere e di guadagnare le mie prima 10 mila sterline».
Si firmava Sophia Bennett. Poi è diventata S.J.Bennett ed è passata al giallo. Perché?
«Perché in verità io ho sempre voluto scrivere gialli. Il problema era appunto che non me li pubblicavano. Ma da sempre sapevo che questa era la mia vocazione».
Come ha fatto a resistere senza mollare?
«Perché mi sono sempre sentita una scrittrice, fin da quando ero piccola e mi rintanavo nelle biblioteche delle città dove i miei genitori si spostavano di continuo. Hong Kong quando avevo sette anni, poi Berlino, Norvegia. Però ho sempre avuto paura di fare la scrittrice sul serio».
Lei è laureata in lettere a Cambridge.
«Ho due lauree (francese e italiano) e un Phd su La coscienza di Zeno di Italo Svevo. Ho vissuto a Firenze, Venezia e Roma. Eppure l’italiano mi torna solo quando l’aereo passa sopra le Alpi. In Inghilterra non so parlare italiano, non riesco proprio».
Quindi adesso può dire di sentirsi davvero una scrittrice?
«Da quando ho firmato per la serie di gialli con la regina detective e ho venduto i diritti televisivi mi posso mantenere con questo lavoro. Quindi direi di sì. Mi manca solo l’ultimo pezzetto del sogno: mettere scrittrice come professione sul passaporto».
I suoi riferimenti letterari?
«Sayers, ovvero gli anni d’oro del giallo inglese al femminile. Ma sono stata lettrice accanita di classici e ho letto molti altri autori di detective stories sia inglesi che americani».
Lei è autrice anche di "Prepublished", un podcast per chi cerca di pubblicare. Cosa spiega agli aspiranti scrittori?
«Dopo così tanti rifiuti sono un’esperta del ramo. Nel podcast parlo con altri autori, agenti, editori. Ho fatto anche un episodio dedicato agli scrittori marginalizzati, i neri o i portatori di disabilità, per i quali trovare un editore è più difficile. Mi piace molto il rapporto con gli studenti. Insegno anche scrittura creativa alla City University di Londra».
Crede davvero che si possa insegnare a scrivere a qualcuno?
«Se non sa inventare una storia o un personaggio, no. Ma si può aiutare una persona nel processo creativo. È un po’ come seguire la ricetta di uno chef. La ricetta ti dice gli ingredienti, le quantità, in che ordine aggiungerli, ti spiega le proporzioni e gli accostamenti. Poi il piatto verrà diverso a ognuno e nessuno lo farà come lo chef, ma le basi sono quelle».
La cosa che le piace di più della scrittura?
«Una cosa che non succede spesso. E cioè quando i personaggi iniziano ad agire a modo loro e tu come scrittore sei costretto a seguirli e a entrare nel loro mondo. Sono rari momenti di gioia. Mentre per il resto è un lavoro difficile e faticoso».
La cosa che odia di più?
«Quando ti torna il manoscritto con le note dell’editor. Le prime volte avevo la stessa sensazione di disagio della penna rossa della maestra a scuola. Mi infastidiva che qualcuno potesse correggermi. Invece adesso lo apprezzo e anzi lo trovo utile».
Ha una routine?
«Non proprio. Lavorare da casa è come essere sempre in pandemia. Spesso metto la tuta da yoga la mattina e arrivo alle cinque di pomeriggio che non ho scritto e neppure fatto yoga. Allora, conscia di avere solo un’ora prima di iniziare a preparare la cena, concentratissima e velocissima faccio il lavoro dell’intera giornata».
Anche Alan Bennett in "La sovrana lettrice" ha ingaggiato la regina Elisabetta come protagonista di un suo libro. Non le sembra una curiosa coincidenza?
«Abbiamo lo stesso cognome ma non siamo parenti e non l’ho mai incontrato. Alan Bennett è un gigante della letteratura inglese e io sono una sua grande fan. I suoi Monologhi sono stupendi. Sapevo che aveva scritto quella satira sulla regina, ma non ho voluto leggerla di proposito prima di aver scritto il mio giallo. Non volevo che mi influenzasse. Ma entrambi siamo arrivati alla stessa conclusione: se la regina fosse diventata una lettrice compulsiva o una detective, non avrebbe potuto fare la regina».