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 2021  marzo 20 Sabato calendario

Sindrome post-trauma per 4 medici su 10

Sono eroi, ma non sono indistruttibili. Né fisicamente e né mentalmente. Dopo più di un anno trascorso in trincea, molti per precauzione lontani dai propri cari, e altri ancora in lutto per amici e colleghi, medici e operatori sanitari in generale sono pericolosamente vicini al burnout. Ora ne abbiamo anche le prove: una ricerca condotta su un campione di 184 partecipanti, provenienti da 43 paesi e 5 continenti, tra il primo maggio e il 15 giugno 2020, ha concluso che la pandemia ha provocato nel 40% del personale sanitario reazioni acute di stress tanto più aggravate dalla vicinanza e dal tempo trascorso con i pazienti e le loro famiglie. 
Lo studio, pubblicato sul Journal of Environmental Research and Public Health, è stato condotto all’Università di Pisa da Angelo Gemignani insieme a Ciro Conversano e Graziella Orrù con la collaborazione dell’Auxilium Vitae Rehabilitation e la Fondazione Volterra Ricerche Onlus. «L’esposizione diretta al dolore dei pazienti, alla loro sofferenza psicologica e morte – osserva Conversano – ha significativamente contribuito allo sviluppo in medici e infermieri di una reazione acuta assimilabile al disordine da stress post-traumatico con un quadro clinico che generalmente comprende umore negativo, sintomi dissociativi e alterazioni della reattività». Non è solo una questione di vicinanza alla sofferenza e alla morte, ma anche un problema causato da una gestione organizzativa inadeguata. «I risultati ottenuti – spiega Conversano – mostrano una situazione preoccupante che dovrebbe far riflettere sulle possibili implicazioni dell’impatto della pandemia a lungo termine: come comunità scientifica abbiamo ritenuto fondamentale cominciare a comprendere e indagare lo stato di salute fisico e mentale degli operatori sanitari, che per primi si sono ritrovati a dover fronteggiare una crisi di portata mondiale, sprovvisti fin dal principio di tutto». 
RICHIESTE DI AIUTO
Un problema intercettato fin dall’inizio dell’emergenza da Consulcesi, organizzazione che opera a fianco degli operatori sanitari. Da quando è iniziata la pandemia le richieste d’aiuto degli operatori sanitari sono state centinaia: carenze di Dispositivi di protezione individuale, turni massacranti e spostamenti immotivati di reparto sono solo alcune. La carenza di medici e infermieri ha giocato un ruolo determinante. Non stupisce se oggi molti medici e infermieri sono arrivati allo stremo delle forze. «Già prima della pandemia – afferma lo psicoterapeuta Giorgio Nardone, che ha realizzato in collaborazione con Consulcesi una serie di corsi di educazione continua di medicina rivolti a operatori sanitari questo disturbo legato alla sfera professionale era in crescita in ambito medico-sanitario. Ora, in periodo Covid sta assumendo proporzioni enormi. Spesso i medici e gli operatori sottovalutano la loro condizione, molti lavorano senza sosta e non hanno il tempo né la possibilità di recupero dallo stress e dalla stanchezza. Gli ospedalieri, per esempio, sono costantemente sotto pressione». Sono quindi una bomba ad orologeria. «È fondamentale imparare fin da subito a riconoscere i campanelli d’allarme, per intervenire in tempo ed evitare l’esplodere del fenomeno», dice Nardone. 
Due le strade possibili. «Una è quella della socializzazione dell’esperienza», dice Nardone. «Il metodo prevede la creazione di una rete di confronto, attraverso gruppi di confronto gestiti da un esperto, un contenitore per far emergere preoccupazioni e ansie che altrimenti si anniderebbero nella mente generando confusione», spiega l’esperto. Un metodo con solide evidenze scientifiche, molto efficace soprattutto nella fase iniziale del disturbo. «Nel lungo periodo, invece, occorre guidare l’individuo a gestire il suo stress, con un percorso specifico che prevede strumenti con ad esempio la scrittura quotidiana di un diario. La tecnica continua Nardone – è la stessa che si utilizza per gli eventi traumatici come quelli che hanno affrontato i medici in epoca Covid, a partire dalla persona malata che non si è riusciti a guarire alla dolorosa scelta su chi trattare e chi no alla lontananza da casa».