La Gazzetta dello Sport, 18 marzo 2021
Sofia Goggia festeggia la coppa
L
a sveglia alle 5.20, la solita doccia fredda, la riattivazione muscolare in palestra. E a colazione, l’annuncio: la discesa delle finali di Lenzerheide è cancellata, la Coppa del Mondo di specialità è vinta. Sofia Goggia accoglie l’annuncio con un sorriso a metà tra l’orgoglio, pudore e un po’ di rammarico. Il secondo trofeo di cristallo dopo quello del 2018 è una cosa enorme, quattro vittorie e un secondo posto in cinque gare testimoniano una superiorità indiscutibile, ma ribadirla 45 dopo un recupero miracoloso, 45 giorni dopo la frattura al piatto tibiale destro, sarebbe stato il massimo. Poco importa. Ora dopo ora, la bergamasca razionalizza. «Avrei voluto giocarmela in pista, ma resta una Coppa vinta in maniera schiacciante – dice la bergamasca, che non disputerà il superG di oggi e il gigante di domenica —. È il premio di una stagione pazzesca, la consacrazione della supremazia che ho dimostrato sugli sci. Sono riuscito a vincerla disputando cinque gare su sette e stando a casa con un perone rotto. Questo trofeo mi dice che sono forte. Dispiace perché ho fatto di tutto per essere qui. Tre anni fa a Are mi giocai la stessa Coppa con la Vonn. Alla vigilia avevo 23 punti di vantaggio e anche lì c’era il dubbio meteo. Mi dissi: “Preferisco scendere e perdere piuttosto che vincerla a tavolino”».
La Coppa è una ricompensa per i Mondiali non disputati?
«L’infortunio del 31 gennaio a Garmisch è stato crudele. Ho passato momenti difficili, per 20 giorni ho vissuto in un limbo in cui non capivo chi ero e cosa volevo. Il destino mi ha aiutato, ma anche la caparbietà delle ultime tre settimane, da quando il dottor Schoenhuber mi ha detto che avrei potuto provarci. Non è stato facile trovare l’equilibrio tra recupero, carichi di lavoro e terapie».
Per molti il rientro era inopportuno. L’ha infastidita?
«Parecchio. Un’atleta sa qual è la cosa giusta da fare. Io mi so ascoltare, non ho mai avuto paura di sentire ciò che ho dentro. A Livigno un tecnico della discesa era stupito: “Pensavamo di trovare un cadavere e invece sei sciolta, anche più del solito”. Credo che poche atlete si sarebbero potute permettere di arrivare fino a qui. Mi hanno dato fastidio due cose: nessuno ha pensato che ai Mondiali avrei potuto anche fare flop, e poi il fatto che tutti dicessero che a Lenzerheide dovevo arrivare ottava. Io dico che avrei potuto anche permettermi di arrivare ottava. La prospettiva è diversa. E non è mancanza di umiltà, è consapevolezza. Uno perché nei giorni scorsi stavo meglio rispetto a tante altre volte in cui ho gareggiato, due perché ho già dimostrato di saper fare risultato anche quando non sono al top. Quando ho vinto l’oro a PyeongChang non riuscivo nemmeno a fare le scale».
Cosa l’ha spinta?
«Penso di aver dato dimostrazione della mia tempra. Vivere senza desideri non ha senso. Vorrei avere sempre l’attitudine delle ultime tre settimane. Per molti il mio sarebbe stato un azzardo. Capisco, ma per me è stato un azzardo ponderato. So bene che il prossimo è l’anno olimpico, ma rendiamoci conto che mi sono fatta male scendendo da una pista di rientro, dopo l’annullamento di una gara, a pochi giorni dai Mondiali. Le fatalità occorrono anche quando sembra impossibile».
Infortunio a parte, in questa stagione ha raggiunto uno stato di forma invidiabile.
«Ho trovato un ottimo equilibrio tra il lavoro che faccio a casa (coordinata da Flavio Di Giorgio, ndr) e quello con Marcello Tavola dello staff Fisi. Ero elastica, forte, resistente, asciutta. Non sono supercoordinata, a livello motorio sono scarsa, ma la mia qualità maggiore è sempre stata la capacità di recupero. I 45 giorni per rinsaldare l’osso contro i 60-70 previsti lo dimostrano».
Il rientro anticipato le ha permesso di guadagnare tempo. Come lo sfrutterà?
«Questa settimana riposerò, poi affronterò 10 giorni di riatletizzazione del ginocchio. Spero di fare un camp di 20 giorni sugli sci dopo Pasqua».
Durante la stagione ha svolto un lavoro di “archeologia industriale” sulla discesa. Adesso cosa ha in mente?
«Vorrei continuare, anche se il livello raggiunto è buono. Ci sono però cose in cui sono scarsa. Patisco i piani, vorrei fare un lavoro sulla scorrevolezza, sentire lo sci nelle semicurve in modo da usare meno possibile le lamine. E poi sistemare i salti e il set-up del superG».
Che ambizioni mantiene?
«Sono in una fase in cui più dei podi contano le vittorie e le Coppe. Ai Giochi di Pechino conta l’oro. E io ho tanto appetito. Sia a tavola, sia in pista».
Si vaccinerà contro il Covid?
«Da atleta della Guardia di Finanza ho dato l’adesione. Il mondo si sta muovendo nella direzione in cui o sei vaccinato o non vai da nessuna parte».
Valentina Vezzali è stata nominata Sottosegretaria allo Sport. Cosa le chiederebbe?
«Non voglio addentrarmi troppo in temi politici, ma credo che per lo sport la priorità sia conciliarsi con l’istruzione. Io faccio l’atleta a questo livello perché ho frequentato una scuola privata, gli istituti pubblici non mi accettavano per le troppe assenze. È un sistema arcaico che non ci possiamo permettere».