la Repubblica, 18 marzo 2021
Storia della censura nella musica
"Zitti e buoni”. Non è un invito ma un ordine, quello partito dall’Eurovision Song Contest e rivolto ai Maneskin. Per poter partecipare alla prossima edizione della festa europea della canzone, che sarà in programma dal 18 al 22 maggio a Rotterdam, la band romana ha dovuto accettare alcune modifiche al testo del brano con il quale hanno vinto il Festival di Sanremo, ripulendolo dalle parolacce, come vuole il regolamento della manifestazione. «Cambiare il testo della canzone non ci fa piacere», dice Damiano David, il cantante della band, «ma, con un po’ di buon senso, abbiamo pensato che fosse più importante partecipare piuttosto che tenere un “cazzo” che non aggiunge nulla. Sarebbe stato da presuntuosi dire “o mi tieni le parolacce o non partecipo”. La realtà è che siamo ribelli ma non scemi».
Di certo a Sanremo non sono stati gli unici a condire i loro testi con delle parolacce, non sono stati i primi e sicuramente non saranno gli ultimi, perché il Festival (e più in generale i modi dello spettacolo e del linguaggio nella nostra società contemporanea) e la televisione sono molto cambiati e quello che era considerato inaccettabile o “pericoloso” fino a qualche anno fa, oggi è considerato innocuo o comunque non particolarmente rilevante. Sono passati giusto cinquant’anni da quando la commissione selezionatrice del Festival impose a Lucio Dalla e Paola Pallottino, autrice del testo, di cambiare il titolo e parte del testo di Gesubambino, trasformandola in 4 marzo 1943.
All’epoca non c’era un regolamento stretto come quello dell’Eurovision Song Contest di oggi, le regole della “buona educazione” però regnavano sovrane e una parola come “puttana” e un riferimento, anche se sghembo e indiretto, alla figura di Gesù ambientato nella taverna di un porto non erano accettabili per l’emittente del servizio pubblico. Ma i casi in cui le canzoni, per motivi di educazione, di opportunità, di politica, sono state “ammorbidite” o più precisamente censurate sono stati molti nella storia della televisione e della radio italiane.
Il caso più eclatante, quanto ridicolo, fu quello della censura “politica” a C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, scritta da Migliacci e Lusini e cantata da Gianni Morandi, canzone considerata troppo “antiamericana” dai censori del 1966: per cantarla in tv e non dire le parole Vietnam e Vietcong, Morandi cambiò il testo in “mi han detto vai nel tatata e spara ai tattà”, ottenendo in realtà l’effetto di far risaltare la censura in maniera eclatante. Alla storia è passato anche il caso di Dio è morto di Guccini, cantata dai Nomadi, censurato da troppo zelanti funzionari Rai, ma tramessa dai più aperti programmatori di Radio Vaticana.
Alcuni dei casi di censura del passato, parliamo degli anni Cinquanta, oggi sembrano incredibili, come quelli in cui incappò Domenico Modugno, che oltre ad aver avuto problemi per Nuda trovò difficoltà a far passare addirittura i versi “Ad un attimo d’amore che mai più ritornerà” di Vecchio frac e quelli, “Nun m’importa e’ chi t’ha avuto” di Resta cu’mmè, o quello del La pansé, evidente doppio senso di Renato Carosone.
Poi ci sono i casi di autocensura, per evitare di finire bloccati nelle maglie strette dei controlli (cosa che accadde a Lucio Battisti, del quale nel 1971 fu considerato troppo osé il testo di Dio mio no, e che nella Hit Parade radiofonica veniva solo annunciata e non trasmessa); è il caso di Claudio Baglioni, che cambiò il testo di Questo piccolo grande amore, lasciando la “maglietta fina tanto stretta al punto che immaginavo tutto”, ma togliendo il riferimento a “nudi” e “cose proibite": o quello di Cocciante, che si risolse a cambiare il testo di Bella senz’anima modificando il più esplicito “e quando a letto lui ti chiederà di più” in un più blando e generico “e quando un giorno lui…”.
Ma i più curiosi sono i casi di censura sull’interpretazione, sul modo di cantare testi innocui: pericolosissima fu considerata Jula De Palma, quando intonava “Tua, tra le braccia tue”, e ancor di più Mina, che dopo i problemi per la sensuale L’importante è finire si vide censurare nel 1978 un’esecuzione di Ancora, ancora, ancora nello show della Rai Mille e una luce. Tanto per dire che alle volte un gesto conta più di tante parole.