Corriere della Sera, 17 marzo 2021
L’uomo che muove le braccia robot su Marte
«Perseverance ha iniziato la più difficile esplorazione mai affrontata su Marte e noi viviamo come se fossimo lassù, con i giorni e le ore scanditi da albe e tramonti marziani». Marco Dolci racconta la sua avventura da protagonista («Mai lo avrei immaginato») al Jet Propulsion Laboratory (Jpl) della Nasa, a Pasadena, in California. Qui il rover appena sbarcato sul Pianeta rosso era nato e da qui, ora, lo si controlla. «È dotato di due braccia robotizzate – spiega Dolci —. Sono loro a compiere tutte le operazioni per cui è stato concepito. Una porta all’estremità un grappolo di strumenti capaci di analizzare e prelevare campioni che poi trasferisce all’interno del veicolo. Un secondo braccio li sistema in capsule depositandole al suolo in attesa di una nuova missione destinata a portarle sulla Terra nei prossimi anni».
Perché tutto si compia al meglio Marco Dolci, 33 anni, «orgoglioso delle origini lodigiane», gestisce la matematica e i movimenti delle due articolazioni in un ambiente ostile dove la temperatura media è di 53 gradi sotto zero, l’aria è pura anidride carbonica talvolta spazzata dal vento, e dallo spazio piovono radiazioni che sterilizzano la superficie. Perseverance si muove sul fondale pietrificato di un antico delta che portava acqua abbondante nel Jazero Crater scavato dalla caduta di un corpo celeste e diventato un lago esteso 45 chilometri: è il miglior luogo per la prima missione di astrobiologia dedicata alla ricerca di biosegnature, cioè presenze di una vita microbica. «Mentre il rover Curiosity al lavoro dal 2012 in un altro cratere, è un laboratorio chimico-fisico su ruote, Perseverance è un robot-geologo con il compito di esaminare polveri, massi e strati geologici identificando quelli più interessanti per individuare al loro interno tracce di una remota biologia».
Cerchiamo in polveri, massi e strati geologici tracce di una remota biologia: ore scandite da albe e tramonti marziani
Per Marco lo spazio era un sogno fin da bambino. «Volevo diventare un astronauta è iniziai a studiare le scienze, ma volevo anche impadronirmi degli strumenti per esplorare». Così, conquistate due lauree in fisica («Amavo l’astrofisica») e ingegneria aerospaziale, alla Statale e al Politecnico di Milano (cum laude), ha partecipato al concorso nazionale bandito dall’Asi per trascorrere un periodo in un centro di ricerca americano. Vinto il posto, Dolci ha scelto il Jpl della Nasa: «Il miglior luogo al mondo per viaggiare tra i pianeti». Assunto nel 2017, si occupa della frontiera robotica. «Il motto del Jpl – continua – è “osate cose grandi”, come era scritto anche sul paracadute a cui era aggrappato Perseverance, ed è il criterio con cui si inventano le sonde più complicate per affrontare ambienti ignoti e il modo di esplorarli. La nostra forza è nel gruppo dove ognuno somma la propria competenza guidati dai maestri-colleghi più anziani». In parallelo, l’ingegnere italiano fa parte del team che sta progettando la successiva spedizione, la Mars Sample Return, per raccogliere i campioni che ora aiuta a catturare.
Il motto qui è “osate cose grandi”: è così che si inventano le sonde più complicate per affrontare ambienti ignoti
Marco vive proiettato nel futuro, ma ancorato ai mille concreti enigmi da sciogliere nell’avanzata marziana del rover. La fantascienza non l’ha mai trascinato lontano dai confini reali «che sono già fantastici», dice, precisando di aver letto tutto Asimov con le sue leggi della robotica. Nel collegamento mattutino via Skype (a Pasadena è notte) rivela che per lui la storia al Jpl potrebbe però essere solo un inizio. «Il mio sogno di bambino di fare l’astronauta è ancora vivo e al momento opportuno cercherò di diventarlo. Mi piacerebbe andare oltre i robot ed essere io stesso un esploratore sulla Luna dove presto torneremo e poi, chissà, forse anche sullo stesso Marte che ora scruto e indago con gli occhi di Perseverance. L’uomo con la sua presenza potrà estendere e superare il prezioso lavoro affidato alle macchine, alzando lo sguardo della nostra conoscenza».