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 2021  marzo 17 Mercoledì calendario

Napoli si divide sui murales dei baby-boss

Soldi, sangue. E pubblici murales, per celebrare chi cade nella trincea del crimine. Ennesima frontiera della sfida allo Stato? O anche veicolo di legittimazione popolare degli scartati? Si contaminano e si evolvono le simbologie dei clan. E sui muri la cultura dei graffiti – ormai da anni – si macchia della street art malavitosa.
O di più ordinari, lampanti abusi edilizi che galleggiano nel brodo della ribellione sociale. Un costume che ha segnato già gli anni Duemila. Trasversale alle regioni, alle gang o alle e ai livelli delle organizzazioni mafiose, saldato tavolta alle espressioni del mondo antagonista. Ma che ora rischia di esplodere, se a Napoli è dovuto scendere in campo il prefetto, Marco Valentini, per lanciare la tolleranza zero sui muri “occupati” dai volti o dai nomi di chi delinque; e se tutti gli uffici giudiziari sono impegnati in riunioni e censimenti per programmare la campagna già in corso da settimane – per la rimozione dei messaggi selvaggi.
Sul tavolo del procuratore Gianni Melillo, la lista di lameno 40 manufatti, tra mega- ritratti, lapidi, targhe, slogan e poesie fatti di vernice rossa o nera, altari e altarini edificati da clan o o dedicati a personaggi sospetti. Solo ieri mattina, nel capoluogo campano, lealtre due missioni di ripristino: a Forcella, e a Posillipo, vanno giù una targa e una scritta dedicate, nelle edicole votive, a due pregiudicati uccisi in distinti raid.
Una lotta che all’ombra della terza città d’Italia – e per il solo caso di Ugo Russo, rapinatore di 15 anni ucciso un anno fa da un carabiniere che reagì all’assalto – riserva anche un’incresciosa spaccatura. Da un lato gli uffici pubblici che stanno eseguendo le disposizioni della prefettura, con l’imprimatur della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, e hanno disposto la rimozione del murale di Ugo. Dall’altro, una petizione firmata da intellettuali, scrittori, magistrati e avvocati, per i quali quell’immagine non diffonde segnali negativi, visto che reca la scritta “Verità e giustizia”, nonostante dall’area vicino al ragazzo ci fu chi sfasciò il pronto soccorso dell’ospedale Vecchio Pellegrini, e chi sparò alcuni colpi di pistola a ridosso della caserma dei carabinieri. Una storia peraltro identica a quella di Luigi Caiafa, minore anche lui, analoga famiglia disgregata alle spalle: ucciso a ottobre scorso da un poliziotto in servizio, mentre metteva a segno un raid con arma (replica) in pugno, contro alcuni giovani in Mercedes. Per Luigi, era stato creato un altro murale: subito rimosso. Per Ugo, riflessione attendista. Dopo il destino segnato, (fino al crimine, che ne ha fagocitato le vite), anche le disuguaglianze della liturgia post-mortem.
Lungo i muri, comunque, storie di mala, o solo di abbandono e degrado, impresse sui volti. Quando il pericolo corre nei (di)segni. Linguaggio piatto, muto, ma non innocuo. Come i due murales che, nel 2018, incendiarono il dibattito su Tor Bella Monaca: ci vollero 150 agenti e l’impegno congiunto dei Palazzi, a partire dalla sindaca Raggi, per cancellare le facce di Serafino Cordaro e di Antonio Moccia. Il primo, “il nostro angelo” avvertiva la scritta in calce al ritratto, ucciso in un regolamento di conti per droga. L’altro, morto in un incidente stradale, ma appartenente alla famigerata famiglia della mafia imprenditoriale dell’hinterland partenopeo, con ramificazioni in varie zone d’Italia.
Oppure, sempre tre anni fa, ecco quelle sagome rosse che ricordano il boss dei boss, un Totò Riina versioen mezzobusto con la scritta “Santo subito”: comparse a sorpresa nelle solenni stradine di Firenze, a poca distanza dal Duomo, subito rimosse con indignazione diffusa anche per i turisti nazionali es tranieri che, a quel tempo, ancora attraversavano le vie delle nostre città. Oppure, ecco gli altari e i volti scolpiti che fanno memoria di povere vite bruciate nel crimine a quindici, sedici o diciannove anni. Com’è avvenuto per Emanuele Sibillo, il precoce boss dei vicoli di Napoli ucciso nel 2015, neanche ventenne. In uno dei vicoli del centro antico, androne di edificio storico e sgarrupato, la sua teca con le urne “riposa” in una tomba vertticale a forma di armadietto anodizzato, tra cuscini di fiori (freschi e finti) e il suo volto di cera perfettamente riprodotto. Meta, ancora oggi, di qualche pellegrinaggio tra ragazzi. Percorsi contrari, anche. A Buccinasco il murale di Giancarlo Siani, giornalista anticamorra, coprì la vilal di un boss. A Palermo quello di Falcone e Borsellino seppellì scritte inneggianti ai clan. Anche il bene, talvolta, grida dai muri.