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 2021  marzo 16 Martedì calendario

Le sezioni del Pd resistono

Le luci dei circoli, sempre più fioche, ormai si accendono solo su Zoom. È successo anche nei giorni seguenti alle dimissioni di Zingaretti, a Bologna: il segretario provinciale, Luigi Tosiani, ha consultato online i militanti, ogni sera da un quartiere diverso, per rassicurare la base – spiega – disorientata dal gesto dell’ex leader del Nazareno. Una prova di esistenza in vita delle gloriose sezioni che hanno fatto la storia del Pci e dei suoi eredi. E che costituiscono oggi un patrimonio sempre più fragile del Pd, impoverito da disaffezione, carenza di risorse, ora dalle distanze anti-Covid. Ripartire da qui, dalle sedi che assicurano il contatto con il territorio, è obiettivo primario di Enrico Letta che fra gli attivisti di Testaccio ha cominciato la sua marcia. Ma il compito si preannuncia tutt’altro che facile.
I numeri, sulla carta, non sono sconfortanti. Il Pd mantiene una rete di 5.209 circoli, con un aumento di iscritti che nel 2019 (ultimo anno in cui si è completato il tesseramento) è stato pari al 10 per cento, da 374 mila a 412 mila. Ma sono cifre che raccontano una realtà parziale. Basti considerare che meno di un anno fa, maggio 2020, i circoli erano un centinaio in più (5.302) e se ci si spinge più indietro nel tempo, il calo emerge lampante: a fine 2014, le sezioni del Pd ammontavano a 7.200. La riduzione più evidente durante la segreteria Renzi, complice la progressiva abolizione del finanziamento pubblico: sicché i trasferimenti alla periferia che nel 2013 erano 10,3 milioni di euro, cinque anni dopo diventano 164 mila. Zingaretti ha tentato di rilanciarne le attività, destinando ai circoli metà delle risorse aggiuntive del 2 per mille: 500 mila euro. Eppure, resta complicato coltivare quella presenza capillare: «Due circoli su tre non hanno una sede di proprietà – dice Stefano Vaccari, responsabile dell’organizzazione nella segreteria Zingaretti – Significa che sono in affitto, si appoggiano su altre sezioni o sono ospitati da altri enti. Oppure operano solo online» . C’è poi qualche paradosso indigesto per i vecchi “compagni”, incomprensibile ai più giovani. Come lo “sfratto” del circolo della Bolognina: i locali della Svolta di Occhetto sono stati acquistati da un privato, la sede dem si è ristretta in alcune stanze poco distanti, gestite dalla Fondazione Duemila, per l’orrore di chi vide – accartocciata in un angolo – la prima bandiera della Quercia autografata da “Akel”. O come la vicenda, a Napoli, della sede (ex Pci, Ds, poi Pd) del quartiere Sanità, rione di Totò, crocevia di comizi storici e di elezioni eccellenti come quella di Giorgio Napolitano: acquistata da operai e artigiani comunisti, finita nel patrimonio della Fondazione Ds, dopo un lungo contenzioso (con segretari morosi) è sprangata da anni. «Dove ci vediamo? In strada. Mentre in quelle stanze sono stati allevati alla politica tante generazioni», mastica amaro Stefano Fusco, 34 anni, tra i più attivi dem sul territorio. Mentre Gennaro Castiello, segretario del-circolo-che-non-c’è, allarga le braccia: «Lì dentro c’era il sacrificio e i risparmi di tanti che avevano il culto della sinistra. Ora, la Fondazione preferisce fittare ad estranei anziché al Pd». Ve ne sono anche alcuni che rinascono. A Scampia, simbolo un tempo di piazze di spaccio alla Gomorra, oggi giacimento di un associazionismo all’avanguardia, il Pd prova a rialzarsi dalle ceneri. Erano 7 tessere nel 2019: la nuova segreteria di Marco Sarracino ha aperto ad associazioni e comitati, «e nel 2020 eravamo partiti con quota 80, ora chiudiamo a 120 iscritti», racconta Giovanni Daniele, 36 anni. Che, con Giuseppe, Andrea, Mimmo, Salvatore, ha capito una cosa: «La sede serve, ma qui ti pesano per le azioni. Ci occupiamo di sociale, dei bisogni materiali e non solo, dalle 200 spese al giorno durante il primo lockdown, alla sorveglianza anche fisica contro l’inquinamento. E intanto aspettiamo sempre il via all’Università già costruita, più servizi, lavoro».
La tendenza sotto pandemia, comunque, è: vicini, ma da remoto. Gli ultimi due circoli aperti a Roma, Candida e Pineta Sacchetti, esistono al momento solo sul web. Segno dei tempi: il lascito delle Case del popolo su videochat. I circoli aziendali, aggregazioni di lavoratori come quello del Pignone a Firenze o dell’Ilva a Genova, hanno chiuso quasi tutti. Resistono i “compagni” dei Cantieri Navali di Sestri Levante. «Durante la segreteria Zingaretti – spiega Vaccari – abbiamo tentato di assegnare una sede a tutti i circoli, con un’operazione chiamata Ridiamo una casa alla politica ». Ci siamo giocoforza fermati». Anche se a Roma proseguono le procedure di acquisizione di 19 sedi di periferia, ex-Pci. Anche per questo motivo, il costo della tessera è salito a 40 euro, non esattamente via d’accesso popolare alla politica. È una realtà double-face.
Da un lato c’è ancora una struttura imponente: i 5.209 circoli hanno tutti un segretario o un commissario. Ma sulla effettiva attività non mancano i dubbi: in Toscana, su 700 sezioni solo 500 siano davvero animate. E in Sicilia la situazione non è diversa: «Impossibile stabilire quanti siano quelli attivi. Chi verifica se qualcuno sta fermo un mese», ammette il coordinatore della segreteria Antonio Rubino. L’altra faccia però esiste. Sono i volti di centinaia di volontari, tantissimi under 30, decisi a ricostruire un dna di sinistra. Anche lì dove i circoli sono, o sembrano, scomparsi.
(Hanno collaborato Silvia Bignami, Maurizio Bologni, Michela Bompani, Marina De Ghantuz Cubbe, Matteo Pucciarelli)