Affari&Finanza, 15 marzo 2021
Il crac Greensill e il ventre molle della Germania
Chiedo al governo federale di farsi carico delle perdite subite dai Comuni”. Thomas Fillep, consigliere municipale di Osnabrueck, una città della Bassa Sassonia che potrebbe aver perso 14 milioni di euro affidati a Greensill, ha alzato bandiera bianca. Ha preteso soldi dal governo per un investimento che sembrava redditizio in un’era di tassi al lumicino e “molto sicuro”, in virtù di un rating alto. Invece la banca anglo-australiana si è rivelata l’ennesimo lupo vestito da agnello. Il castello di carte della fintech nata in Australia e con sede legale a Londra è crollato la scorsa settimana, quando ha portato i libri in tribunale in entrambi i Paesi. E in Germania si parla di circa quindicimila risparmiatori e una cinquantina di Comuni che sarebbero rimasti con il cerino in mano.
"Stupid German money”, gli “stupidi soldi tedeschi” hanno colpito ancora. Il fallimento ripetuto dei regolatori come la vigilanza bancaria Bafin (si pensi solo al recentissimo caso di Wirecard), l’eterno intreccio tra politica e finanza e la retorica trita dei risparmiatori defraudati dai tassi bassi della Bce continuano a rendere la Germania il ventre molle dell’Europa, quando gli spericolati avventurieri della finanza cercano una piazza facile dove farla franca.
Incesto tra finanza e politica
Sembrano lontani i tempi in cui Angela Merkel invitava l’amministratore delegato di Deutsche Bank, Joseph Ackermann, a festeggiare il suo compleanno in cancelleria. Ma il veleno di quell’incesto tra sistema finanziario e politica continua ad avvelenare il Paese. Persino l’attuale ministro delle Finanze, Olaf Scholz, non ha nulla di ridire quando i costi dei fallimenti di banche locali vengono coperti da soldi pubblici. È successo di recente proprio nella città della cui il vicecancelliere è stato a lungo sindaco: il salvataggio di Hsh Nordbank è costata nel 2018 circa 4.000 euro a ogni cittadino di Amburgo.
In più, Greensill è una vera nemesi per il Paese che si oppone da nove anni a un Fondo europeo per i depositi e che ha imposto il “no bail in”, la regola europea che vieta i salvataggi pubblici delle banche, insomma che diffida cronicamente di altri Paesi salvo poi essere la preda prediletta dei predatori dei listini. I quindicimila risparmiatori truffati da Greensill saranno rimborsati dal Fondo tedesco per i depositi. E i Comuni, come dimostra il grido d’allarme di Osnabrueck, cominciano a chiedere che siano i contribuenti a pagare per i loro buchi scavati dal crac della banca anglo-australiana. Il fondo per i depositi, infatti, non li copre più dal 2017.
Altro che non vogliamo più che i contribuenti paghino per gli investimenti sbagliati, come ripeteva l’ex ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble, principale sponsor della legge europea anti-salvataggi pubblici, a ogni piè sospinto. Peraltro, Schaeuble insistette per quella norma quando la Germania aveva già salvato le sue, di banche, con 280 miliardi di soldi dei contribuenti, nei primissimi anni dello tsunami da subprime del 2007.
Il fondatore dell’ultima pietra dello scandalo, Lex Greensill, spregiudicato banchiere australiano cresciuto in una fattoria del Queensland, ha venduto per anni con crescente successo l’immagine della banca dei “piccoli”, che si faceva carico di pagare subito i fornitori al posto delle aziende committenti, e impacchettava poi i crediti in strumenti finanziari apparentemente solidi e redditizi. Peccato che il sottostante, spesso, non esistesse, e che Greensill si inventasse gli ordini.
Le prime a lanciare l’allarme sono state, non a caso, le assicurazioni, che hanno disdetto i contratti con la fintech, poi, quando Credit Suisse ha chiuso fondi per dieci miliardi di euro legati a Greensill, la crisi ha raggiunto l’Europa. E soprattutto la Germania. La Vigilanza europea Bce ha acceso un faro sulle esposizioni degli istituti europei, secondo il Financial Times. E il regolatore tedesco Bafin ha precipitosamente chiuso tutte le attività della controllata di Greensill con sede a Brema. Anche la Procura federale indaga su denuncia dell’autorità di vigilanza. Ma è troppo tardi. Ormai 3,6 miliardi di asset sono andati a fuoco. E adesso l’Associazione bancaria e la Bafin se la danno di santa ragione dietro le quinte rimpallandosi le responsabilità a vicenda. La Vigilanza indagava già dal 2019 ma non ha mosso un dito neanche quando l’Associazione bancaria ha lanciato l’allarme rosso, nella primavera del 2020. Mettendo in rilievo, peraltro, l’enorme esposizione della banca verso il re dell’acciaio Gupta.
L’origine dello scandalo
In Germania l’origine del nuovo scandalo finanziario è palese. Decine di migliaia di tedeschi, rintronati dalle bordate della costante propaganda anti-Bce, della lagna perenne sugli “espropri” causati dai tassi al lumicino, sono alla ricerca spasmodica di rendimenti più favorevoli. Siti come Check24 o Zinsportal hanno pubblicizzato per anni, e con successo, la controllata anseatica di Greensill, attirando gli investitori apertamente con il paracadute del Fondo tedesco per i depositi. Come dire: se non vi bastano i rendimenti generosi (si parla di cifre risibili, lo 0,25-0,3%, ma comunque le più alte che si potessero trovare sul mercato tedesco), sappiate che i vostri soldi saranno comunque ripagati dalle banche. Ed è un conto salato – si parla di cifre intorno ai due miliardi – che tutti gli altri clienti delle banche tedesche si ritroveranno quasi certamente a pagare con servizi più onerosi, nei prossimi anni. Ma tant’è.
Il nodo, al momento, sono anche i Comuni. Qui si parla di una voragine di 500 milioni di euro. Il capoluogo dell’Assia, Giessen, ne ha investiti 10; nella stessa regione, il Comune di Schauenberg un milione, Eschborn 35 milioni; quello di Monheim am Rhein, in Nordreno-Westfalia addirittura 38, la regione Turingia, che minaccia di trascinare la Bafin in tribunale, 50. Persino alcune radio pubbliche locali come il Ndr, Swr e Sr avrebbero affidato i loro soldi a Greensill (anche se loro sono coperte dal deposito per le banche).
Dal governo Merkel, tutto tace. Al ministero responsabile, quello delle Finanze, anche. Eppure, dopo i collassi delle banche locali degli ultimi anni e il clamoroso caso Wirecard, sarebbe opportuno che qualcuno si degnasse di spiegarsi. Alcune attività di Greensill erano difficili da rintracciare, inghiottite dall’opaco “shadow banking”. Ma in Germania gli anglo-australiani avevano comprato una banca locale della quale le autorità regolatorie e il ministero avrebbero potuto sapere tutto. Se solo avessero voluto.